Coronavirus

"Isolati subito i focolai con il sistema di allerta usato per il morbillo"

L'infettivologo: "I cinesi allo Spallanzani colpo di fortuna. Curarli? Un allenamento"

"Isolati subito i focolai con il sistema di allerta usato per il morbillo"

Come si può evitare il rischio di nuovi focolai quando entreremo in Fase 2? Alcune regioni sono al momento riuscite a rallentare e contenere la diffusione di Covid 19.

Una di queste è il Lazio dove è attivo un servizio di allerta tempestivo connesso a una rete che collega ospedali, 118, pronto soccorso e terapie intensive in tutta la regione e che comprende anche le malattie infettive.

A spiegare come funziona è Emanuele Nicastri l'infettivologo che insieme a un team di esperti governa il Dipartimento di Malattie Infettive ad alta Intensità di cura ed altamente contagiose dell'Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma. Nel Lazio al momento la situazione è sotto controllo, i contagi ci sono ma procedono a un ritmo gestibile da parte del servizio sanitario. Non solo. La coppia di turisti cinesi arrivata Spallanzani in condizioni critiche il 29 gennaio ne è uscita due mesi dopo perfettamente guarita.

Dottor Nicastri che cosa ha funzionato allo Spallanzani?

«L'arrivo della coppia di cinesi è stato un colpo di fortuna. Anche se si trattava di casi importati, due turisti, è partita l'allerta rispetto alla possibilità che anche qui potesse esplodere un'epidemia. Quindi si è attivato immediatamente il network di controllo per le malattie infettive, il sistema Advice e lo Spoke and hub».

Di che si tratta?

«È un sistema di allerta regionale che funziona solitamente per le patologie tempodipendenti: ictus e infarto ad esempio. Se arriva un paziente in condizione critica si attiva un meccanismo per individuare dove si trova il reparto ad hoc più vicino: ad esempio una stroke unit per un ictus. In vista del Giubileo straordinario del 2016, nella consapevolezza dell'arrivo di migliaia di pellegrini che avrebbero potuto portare con loro agenti patogeni nei pronto soccorso e negli ospedali e causare saturazione dei reparti, l'abbiamo attivato anche per malattie infettive».

E si è rivelato utile per gestire il coronavirus?

«Era già stato ampiamente utilizzato per altre emergenze come l'epidemia di morbillo, quella di epatite A e per il virus Chikungunya. Se arriva un paziente sospetto in qualsiasi pronto soccorso della regione con lo spoke and hub possono contattarmi e farmi vedere non soltanto esami, lastre, tac ma posso addirittura parlare con lui. Non c'è dubbio che questo sistema abbia contribuito al controllo dell'epidemia: la connessione tra 118, pronto soccorso, dea, terapie intensive a livello regionale per ora ha permesso di individuare e tenere sotto controllo i focolai. Ovvio che dovrà essere sempre pienamente funzionante soprattutto in una fase di graduale allentamento delle misure che per ora non è possibile. Al momento il distanziamento sociale e l'isolamento dei positivi sono indispensabili».

Come avete salvato la coppia di cinesi?

«Bisogna ammettere che è stata una palestra, un allenamento che ci ha permesso di capire come muoverci. Quando il paziente arriva in terapia intensiva la chiave è un'oculata gestione dell'ossigeno. Il numero magico è 95, occorre controllare la saturazione dell'ossigeno e non scendere mai sotto quel valore perché sotto quella soglia il paziente peggiora rapidamente, entra in sofferenza ed è più difficile che possa riprendersi».

Ma quali farmaci si sono rivelati utili?

«Su questo punto bisogna essere chiarissimi: si tratta di terapie sperimentali, non esiste ancora un trattamento che abbia mostrato l'evidenza scientifica di funzionare contro Sars Cov 2. Noi qui abbiamo usato tutti gli anticorpi monoclonali. Anche il remdesivir. Ma si tratta di terapie di supporto non di trattamenti specifici per il Covid 19. Quando un trattamento sarà approvato potrà essere usato non più soltanto in via sperimentale».

Una volta avuto il Covid 19 si è immunizzati?

«L'immunizzazione è ancora un'incognita. Nel caso dell'influenza stagionale ad esempio si deve fare un nuovo vaccino ogni anno perché si è nuovamente esposti. Non ci sono certezze.

Possiamo ipotizzare con discreta certezza che ci sia almeno un'immunità transitoria ma non sappiamo quanto dura».

Commenti