Gerusalemme Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman, origine sovietica, abitante degli insediamenti, difensore sincero dei diritti umani laici, capo del partito Israel Beitenu, è un duro. Non ha mai pensato che con i palestinesi e tanto meno con Hamas una pace sia possibile. E ha sempre desiderato fare qualcosa che mettesse in seria difficoltà il suo mentore e premier Benjamin Netanyahu. Stavolta potrebbe costringerlo alle elezioni. Ieri si è dimesso mentre ancora echeggiavano nell'aria gli ultimi boati della quasi guerra con Hamas. Una guerra dolorosa, con distruzioni, morti e feriti nelle città e nei kibbutz del Sud, gente terrorizzata, sirene in attività per l'ininterrotta sequenza di bombardamenti di Hamas sulla popolazione seguita dalla reazione dell'esercito su Gaza.
Lieberman ha detto che la risposta di Israele è stata inconsistente, che il governo è incapace di promettere un futuro diverso alla gente che si vergogna ormai «di guardare negli occhi»; il governo «si è arreso al terrorismo di Hamas», e ha elencato due episodi. Il primo: il fatto che sia stato consentito che venerdì passassero nella Striscia i 15 milioni di dollari dal Qatar. E la decisione di accettare con una riunione di gabinetto tormentata (è durata sei ore ed è finita senza un voto) la tregua di cui l'Egitto è stato mediatore. Nelle ore della scelta di Lieberman a Gaza si svolgevano celebrazioni trionfalistiche con spari e distribuzione di dolci mentre i capi di Hamas si vantavano di aver vinto la guerra e distrutto il governo israeliano. Intanto nelle strade del Sud di Israele, coi campi bruciati dagli aquiloni infuocati, i confini assaliti da decine di migliaia di palestinesi, la vita civile distrutta, la gente si riversava per protestare contro la decisione di accettare la tregua senza bloccare Hamas.
Per Netanyahu «un leader non prende la decisione più immediata e comoda, ma quella più giusta, valutando i modi e i tempi migliori per reagire». In sostanza il premier nel corso di questi mesi ha sostenuto una linea moderata, come da consigli di tutto l'apparato di sicurezza, Mossad compreso, secondo il principio «quiete in cambio di quiete». È una linea audace dato l'odio infinito di Hamas, la linea jihadista e omicida strumento di potere dentro Gaza. La speranza è che un po' di benessere possa aiutare ad acquisire un intervallo di pace.
Lieberman è il politico che disse «se sarò ministro della Difesa dirò a Ismail Hanje: se in 48 ore non restituisci i nostri ragazzi (due corpi di soldati uccisi e due giovani perduti nelle mani di Hamas, ndr) sei morto», e che segue la linea di optare per una strenua difesa di un territorio assediato come Israele. Netanyahu cerca di evitare di mandare i giovani nella Striscia, una vera palude di morte senza prospettiva di soluzione politica. Mentre tutto il suo sforzo è concentrato sulla sicurezza al Nord. Il paradosso è che la sinistra guidata da Tzipi Livni, pur di attaccare Netanayhu, si è alleata con la linea di Lieberman.
Ora si aprono giorni di incertezza sulla sorte del governo Netanyahu che in Parlamento ha una risicata maggioranza (61 su 120), mentre il ministro dell'Educazione Bennet minaccia l'uscita del suo gruppo se il premier non lo nomina subito erede di Lieberman.
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