L'interscambio commerciale tra Italia e Cina è stato di quasi 65 miliardi di euro nel 2024 (15,3 miliardi di esportazioni italiane, 49,5 miliardi quelle cinesi nel nostro Paese). Ragione per cui l'incontro di ieri tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il primo ministro cinese Li Qiang a margine del G20 a Johannesburg, in Sudafrica, aveva un peso economico di grande rilevanza per entrambi i Paesi, due tra le più forti manifatture esportatrici al mondo.
Di là dalle espressioni diplomatiche, la sensazione è che il confronto sia stato molto franco. Secondo quanto riporta una nota di Palazzo Chigi, Meloni ha "sottolineato l'esigenza di assicurare condizioni di parità alle aziende che operano sui mercati internazionali e di garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento globali, soprattutto per quanto riguarda i componenti essenziali per la produzione industriale". I messaggi in tal senso sono almeno due. Il primo riguarda la questione dell'accesso al grande mercato cinese da parte delle aziende estere: in particolare, da sempre si contesta al Paese guidato da Xi Jinping di applicare restrizioni settoriali, di favorire le proprie imprese domestiche anche attraverso applicazione di regole poco trasparenti e la richiesta di fare joint venture in alcuni settori ritenuti strategici per lo Stato. Spesso, pur di non perdere il treno di un mercato tanto promettente, molte aziende hanno accettato queste condizioni esponendosi al rischio di esporsi allo spionaggio industriale. Il secondo, ed è una questione comune per gli Stati Uniti e l'Europa, è che la Cina non faccia ostruzione all'approvvigionamento di materie prime e componenti strategici per le nuove tecnologie che vanno dall'automotive alle energie rinnovabili.
Di contro, anche dalla Grande Muraglia sono emerse richieste di peso. "La Cina si aspetta che l'Italia garantisca un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio alle imprese cinesi che investono in Italia", ha riportato l'agenzia di stampa cinese Xinhua, a proposito del bilaterale di ieri. Frasi che riportano alla mente il caso emblematico di Pirelli, dove il primo socio (Sinochem, con il 37%) in passato ha dovuto incassare l'intervento del golden power italiano per limitare l'influenza cinese e proteggere la tecnologia strategica degli pneumatici intelligenti (i Cyber Tyre). E dove peraltro è tuttora in corso un braccio di ferro perché l'America impone delle restrizioni alle aziende con legami cinesi; sicché, per mantenere l'accesso al mercato Usa, servirebbero degli interventi a livello di governance sui quali i cinesi fanno resistenza.
"Il premier cinese Li Qiang - si legge nel lancio dell'agenzia ufficiale di Pechino - ha promesso alle aziende italiane un maggiore accesso al mercato cinese attraverso fiere ed altre piattaforme. La Cina incoraggia un maggior numero di aziende italiane ad entrare nel mercato cinese attraverso piattaforme quali la China International Import Expo, la China International Fair for Trade in Services, la China International Consumer Products Expo e la China International Supply Chain Expo". Il premier cinese ha assicurato che la Cina è "pronta a rafforzare l'allineamento delle strategie di sviluppo con l'Italia e a stringere un partenariato strategico globale più stabile e proficuo". Quest'ultimo punto è di grande interesse per l'Italia, che dopo l'applicazione dei dazi voluti dal presidente Donald Trump, sta cercando di diversificare il suo export.
Proprio in seguito a ciò le esportazioni italiane in Cina - tra gennaio e luglio di quest'anno - sono calate a 8,2 miliardi (-10,5%). Non un buon segnale per quei settori - dal lusso, alla farmaceutica fino alla meccanica - che esportano miliardi di fatturato in quel Paese e che certo non sono state favorite dalle tensioni internazionali.