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"Italia senza forza e credibilità in Libia E adesso anche l'Eni rischia grosso..."

Il direttore di «Limes»: «Non abbiamo più strumenti per contare»

"Italia senza forza e credibilità in Libia E adesso anche l'Eni rischia grosso..."

Azioni e reazioni che cambiano gli assetti del mondo e che fanno paura. Il politologo Lucio Caracciolo, direttore di Limes, tra i più influenti e autorevoli luoghi di riflessione geopolitica in Europa, ha appena sentito le parole dell'ultima conferenza stampa di ieri sera del presidente americano e le commenta con un serafico: «prevedibili. Mi aspettavo che Trump dicesse queste cose, che l'Iran non avrà mai l'atomica per poi tornare sul tema delle sanzioni».

Partiamo dall'inizio: quale strategia c'è dietro la mossa di Trump?

«Purtroppo partiamo da un dato che può sembrare sconcertante: il presidente americano non ha alcuna strategia. Ci sono piuttosto delle ragioni emotive che lo hanno spinto a dare l'ordine di uccidere Soleimani. Sta cavalcando l'odio profondo radicato nell'establishment militare contro l'Iran, condivisa dalla maggioranza dell'opinione pubblica».

Si riferisce agli ostaggi presi nell'ambasciata americana a Teheran del 1979?

«Non solo. Da molto tempo ormai i due Paesi sono ai ferri corti. Trump, con questa mossa ha voluto guadagnare punti agli occhi dei suoi elettori, per dimostrare di essere l'uomo forte».

Che effetto avrà sulle prossime elezioni americane?

«Non credo più di tanto. Intanto però ha fatto una manovra diversiva rispetto a un tema più impellente per se stesso: l'impeachment, di cui adesso se ne parla meno».

Cosa dobbiamo aspettarci dall'Iran?

«Al momento siamo uno a uno. La risposta di martedì sera è stata una reazione controllata, ragionata, chirurgica perfino. Lo dimostra il fatto che i missili non hanno ucciso nessun soldato americano. È stato un avvertimento insomma. Ma attenzione, un avvertimento riuscito. Quello che dovrebbe far temere è che gli iraniani sono arrivati a bersaglio. Hanno dimostrato cioè che se vogliono, possono».

Quali rischi vede per il futuro?

«Il più temibile di tutti: di impantanarsi in Irak. È chiaro che se sarà guerra sarà qui. L'Iran chiaramente non vuole in nessun modo rinunciare al suo sfogo sul Mediterraneo, e gli Stati Uniti non vogliono andarsene perché in questo momento sanno che la mossa sarebbe presa come una ammissione di debolezza. Impensabile adesso».

Dobbiamo temere per i nostri soldati in Irak?

«Non si capisce perché siano ancora lì. Voglio ricordare che al momento abbiamo 400 soldati. Non un contingente internazionale ma in missione per addestrare le truppe che combattono l'Isis. Sarebbe meglio andarsene».

Quale forza resta all'Italia sulla Libia?

«Praticamente nulla. Non abbiamo carte da giocare al tavolo. Non abbiamo voce in capitolo. Sorpassati da molto tempo ormai non possiamo contribuire in nessun modo».

Una analisi tranchant.

«Guardiamo gli altri Paesi. La vera partita la stanno giocando la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin, sono loro quelli che realmente si stanno spartendo le risorse di questo Paese. Per noi sarebbe catastrofico. L'arrivo dei turchi potrebbe voler dire l'estromissione dell'Eni. Non penso che si arriverà a questo ma la posta in gioco è alta. La Francia, dal 2011 ha iniziato una politica precisa. Ha una sua idea che porta avanti. Vuole riprendersi l'influenza al Sud del Paese. Interessi economici ed energetici ovviamente, come tutti. Appoggia Haftar e lo fa in modo concreto, con uomini sul campo. Ha inviato uomini e ha strumenti in questo momento per ottenere qualcosa in cambio. Può trattare. Noi no».

Di Maio si è incontrato con i suoi omologhi europei, neppure questo può servire?

«L'Europa sta dimostrando in questo frangente la sua inconsistenza politica. Non c'è una voce. Ognuno parla per sé.

Il problema è la credibilità e la forza che può far valere ognuno di loro».

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