Gli italiani che lottano con i curdi: "Erdogan ha rivitalizzato i jihadisti"

Lorenzo, Marco, Maria, combattono contro turchi e islamisti in Siria: "L'indifferenza dell'Occidente provocherà altri attacchi terroristici"

Gli italiani che lottano con i curdi: "Erdogan ha rivitalizzato i jihadisti"

«L'attentato in Francia non è casuale. Ne vedremo degli altri. L'Europa ha permesso la conquista di Afrin da parte delle forze jihadiste reclutate dai turchi consegnando una nuova base al terrorismo» spiega via WhatsApp dalla Siria, Lorenzo, nome di battaglia Tekoser. Fiorentino, 32 anni, è uno dei quattro italiani che hanno combattuto ad Afrin, la sacca curda nel Nord Ovest del Paese spazzata via dall'invasione di Ankara. Si sono arruolati nelle fila del Ypg, le Unità di protezione popolari, che nel Nord Wst del Paese hanno creato il Rojava, una realtà autonoma curda nel caos siriano.

Al fianco di Lorenzo c'è Dilsoz («cuore promesso»), anarchico romano di 33 anni, che ad Afrin ha visto «la collina dove erano posizionati i miei compagni bruciare sotto l'attacco degli elicotteri turchi. Sono morti tutti, uomini e donne, che combattevano contro le forze jihadiste, altro che terroristi come ci dipinge Ankara».

Del gruppetto di volontari appena ripiegati dall'inferno di Afrin (guarda le foto) faceva parte anche Marco, 23 anni, che viene da Rovigo. E per la prima volta una ragazza, Maria Edgarda Marcucci, 26 anni di Roma, nome di battaglia Shilan. Le forze curde siriane sono le uniche della regione che hanno reparti combattenti donne. «Eddi è una femminista tosta ed attivista No Tav» spiega Lorenzo. «Ad Afrin i giannizzeri jihadisti dei turchi li sentivamo urlare per radio Allah o akbar - racconta il volontario italiano - Se trovavano i corpi dei nostri compagni li mutilavano, come ha sempre fatto l'Isis. Ankara ha reclutato ex di Al Nusra (la costola di Al Qaida in Siria, nda) e gli stessi terroristi dello Stato islamico, che stavano scappando dopo le sconfitte. I servizi segreti occidentali lo sanno bene».

I turchi bombardavano soprattutto i paesini attorno alla roccaforte curda, anche se i combattenti del Ypg erano solo di passaggio (guarda le foto). «Ad Afrin sono stati più attenti per non sollevare la reazione internazionale, ma ho visto con i miei occhi la fila chilometrica di auto civili in fuga in mezzo alle bombe. L'evacuazione è stata drammatica» sottolinea Delsoz, che preferisce non farsi vedere in volto. I volontari italiani hanno combattuto, prima di Afrin, a Deir ez-Zor, l'ultima sacca delle bandiere nere lungo l'Eufrate verso l'Irak. «È uno scandalo che l'Occidente ci abbia abbandonato» sbotta il combattente romano.

I curdi con altre forze minoritarie hanno liberato Raqqa, la storica «capitale» del Califfato grazie all'appoggio aereo alleato. Poi sono stati costretti a spostare 1.500 uomini per difendere Afrin e adesso non si fidano più di nessuno. «I turchi potrebbero continuare l'avanzata attaccando Manbij o Kobane (roccaforti curde, nda) - spiega Lorenzo - Ci sono ancora i corpi speciali americani, ma non mi stupirei di una pugnalata alle spalle».

Gli italiani fanno parte di una brigata «internazionale» con francesi, americani, un islandese che è morto ad Afrin «anarchico come noi». Nel corso della guerra civile siriana sono stati 1.000-2.000 i volontari stranieri, che hanno combattuto al fianco dei curdi. Compresi ex marines oppure legionari francesi decisi ad imbracciare le armi dopo gli attacchi del terrore negli Usa ed in Europa.

Una ventina gli italiani negli ultimi tempi ed uno è stato anche ferito ad un braccio rimanendo in prima linea. «Negli ultimi due mesi abbiamo rischiato la vita tante volte - spiega Lorenzo - Potevi chiudere gli occhi per dormire un po' e non ti svegliavi più a causa di un attacco aereo».

I volontari italiani sono convinti che per la caduta di Afrin in mano alle forze jihadiste appoggiate dai

turchi «ne pagheremo tutti le conseguenze. Se poi ci saranno altri attacchi del terrore in Europa, altri Bataclan non lamentiamoci. È colpa della comunità internazionale che non ha mosso un dito».

www.gliocchidellaguerra.it

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