Attendere. E sperare. Per ora non si può fare di più. La frustrazione d'intelligence e governo è evidente. Anche perché lo scenario del sequestro di Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i quattro tecnici della Bonatti rapiti intorno all'impianto di Mellitah, è tanto confuso quanto drammatico. A farlo capire è il ministro degli esteri Paolo Gentiloni che definisce «prematura ed imprudente» qualsiasi «interpretazione politica». Dietro quel riserbo ci sono le incognite di un sequestro avvenuto in un contesto geograficamente ambiguo dove si mescolano la minaccia terroristica e lo scontro tra le milizie pronte a tutto pur di mettere le mani sulle «parcelle» pagate per garantire la sicurezza degli impianti. Lo scenario terroristico è, ovviamente, quello che preoccupa di più. Lo stabilimento di Mellitah è ad una ventina di chilometri ad ovest di Sabratha, la cittadina dove è attivo un campo jihadista frequentato dai militanti del Califfato.
Un campo dove, secondo l'intelligence tunisina, si sono addestrati gli autori delle stragi messe a segno al Museo del Bardo e sulle spiagge di Soussa. Se i quattro italiani fossero nelle mani dello Stato Islamico, o di bande criminali pronte e a rivenderglieli, il sequestro si trasformerebbe in una «spada di Damocle» sospesa sulla testa di un'Italia impegnata a guidare la missione europea contro i trafficanti di uomini. E le vite degli ostaggi diventerebbero il miglior strumento per ricattarci e rivendicare quel ruolo di difensori della sovranità nazionale, dell'orgoglio libico e della fede islamica minacciate, nello scontato linguaggio della propaganda terroristica, dai «crociati europei» e dall'ex «potenza coloniale». Per l'ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, avanza l'ipotesi che «uno o più trafficanti di esseri umani» abbia agito per «rappresaglia» contro la missione che punta ad individuare «le navi che salpano dalla Libia per l'Europa».
Meno preoccupante, ma altrettanto complesso sarebbe un sequestro pianificato nell'ambito della guerra tra milizie in lotta per garantirsi la «protezione» degli impianti. Per capire che di guerra vera si tratta basta, come ha fatto a suo tempo Il Giornale , esplorare le dune intorno a Mellitah. Lì ogni avvallamento, ogni dosso è un ex-trincea disseminata di bossoli. Sono i residuati delle battaglie combattute dalle milizie di Zintan e da quelle di Zwara tra il 2012 e il 2013 per garantirsi la «protezione» di Mellitah. Battaglie conclusesi con la sconfitta di Zintan, a cui l'Eni aveva assegnato nell'immediato dopo Gheddafi la difesa dello stabilimento, e il passaggio della «sicurezza» nelle mani di Zwara. Una scelta, quella dell'Eni, apparentemente scaltra e lungimirante. Nell'agosto 2014, infatti, Zwara contribuisce anche alla vittoria della coalizione islamista che conquista Tripoli infliggendo un'altra batosta a Zintan e costringendo all'esilio a Tobruk il governo leggittimo. Puntando su Zwara e pagando i suoi miliziani l'Eni e la Bonatti riescono, uniche tra le grandi compagnie internazionali, a garantire l'efficienza degli impianti e una produzione di petrolio e gas in linea con quelle dei tempi di Gheddafi. A guastare l'azzeccata scommessa di Eni e Bonatti potrebbero esser intervenuti due imprevisti. Il primo è la repentina offensiva delle milizie di Zintan e delle forze dell'«Esercito Libico» che, sotto la guida del generale Khalifa Haftar capo di Stato maggiore del governo di Tobruk, avanzano negli ultimi mesi fino ad una trentina di chilometri dal Mediterraneo. Nell'ambito di quest'offensiva qualche milizia di Zintan - particolarmente interessata alle commesse o particolarmente arrabbiata per averle perdute - potrebbe aver pianificato il sequestro per far pagare a Eni e Bonatti sgarbo e maltolto.
L'altra interpretazione, più politica, ma sempre legata alla protezione di Mellitah, collega il sequestro all'accordo di pace e di riconciliazione proposto dall'Onu, ma siglato - una settimana fa - soltanto dal governo di Tobruk.
L'esclusione di Tripoli da un'intesa salutata con entusiasmo da Matteo Renzi potrebbe aver indotto qualche gruppo di Fajr Libia ad impartirci una lezione. E anche in questo caso l'Italia - chiamata tra breve a guidare la missione lungo le coste controllate da Tripoli si ritroverebbe costretta a far i conti con la spada di Damocle a quattro punte sospesa sul proprio capo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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