Ai circa 40 milioni di contribuenti italiani attivi la nuova tassa greca costerà 385 euro a testa. E porterà il totale oltre i duemila euro. In base agli accordi raggiunti nella notte di domenica dopo una maratona di oltre trenta ore di trattative, se entro domani arriveranno da Atene le delibere per le riforme previste dai patti (e sempre che i Parlamenti europei diano il via libera), nelle casse greche pioveranno prestiti per 86 miliardi che si andranno aggiungere agli interventi di salvataggio varati in precedenza.
I fondi saranno versati dal MES (meccanismo europeo di stabilità) meglio conosciuto come «Fondo salva Stati», a cui l'Italia partecipa, e quindi concorre a finanziare, per il 17,9%. A conti fatti quindi Roma dovrà nuovamente aprire il portafoglio e prestare ad Atene 15,4 miliardi di euro (pari a 385 euro per cittadino). Si tratta di una cifra consistente, a maggior raigone visto che Roma vanta già mastodontica esposizione verso Atene pari a 65 miliardi in tutto (o 1.625 euro per italiano), almeno secondo una recente ricostruzione di stampa che comprende i 10 miliardi di prestiti bilaterali, i 37,5 miliardi provenienti dai fondi salv stati (Efsf/Esm) e agli aiuti concessi attraverso la Bce. L'accordo raggiunto domenica notte è quindi un accordo salato anche per gli italiani e non solo per i greci che si troveranno a dover fare i conti con pesanti tagli, privatizzazioni e tasse in aumento.
Qualche consolazione per gli italiani dovrebbe tuttavia arrivare dal raffreddamento dello spread e, di conseguenza, da un costo del debito pubblico sotto controllo. Tanto più le previsioni governative contenute nel Def si basano su uno spread a 100 punti base, un livello che nell'ultimo mese sembrava ormai un miraggio lontano visto il differenziale tra Btp e Bund ha perfino oltrepassato quota 160. Ieri lo spread si è assestato a 126, ma per gli esperti è destinato a scendere grazie alla ricucitura con la Grecia. «Mi aspetto che progressivamente scenda a 100» sostiene Vincenzo Longo di IG.
Già l'asta Btp di ieri, con cui il Tesoro ha collocato titoli a 3,7,15 e 30 anni per un totale di 7,34 miliardi di euro, ha registrato rendimenti in calo rispetto a un mese fa. In particolare il Btp a sette anni ha spuntato un rendimento lordo dell'1,6%, in discesa di 16 punti base. Solo pochi giorni fa in effetti il premier Matteo Renzi, in un'intervista, aveva fatto un rapido conto: un rialzo permanente di 2 punti percentuali dei rendimenti sarebbe costato al paese 5 miliardi all'anno. Oggi si può sperare che il cosiddetto «Agreekment», grazie alla discesa dello spread e quindi al calo dei rendimenti dei Btp, contribuisca quanto meno a mantenere i conti pubblici sotto controllo. Non solo.
Un simile scenario dovrebbe poi servire a dissipare i timori di contagio e a tranquillizzare i falchi delle agenzie di rating già pronti a mettere in discussione, nell'ipotesi di una Grexit, la tenuta finanziaria di Roma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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