Italiani spaventati e incattiviti, sentenziava l'ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. E anche sfiduciati, andrebbe aggiunto a posteriori dopo le ultime indicazioni arrivate ieri dall'Istat. Brutto segno, perché quella mancanza di ottimismo su presente e futuro si riverbera poi sulle scelte finali di famiglie e imprese. Impatta sui consumi. Blocca gli investimenti. E finisce per trascinare tutti in trincea, con l'assunzione di un comportamento difensivo. Se il mese di maggio aveva portato un illusorio miglioramento del mood nazionale, giugno ci restituisce l'immagine di un'Italia che vede nero, con il morale dei consumatori finito sotto i tacchi, ai minimi del luglio 2017, a causa di una flessione certificata dall'indice dell'istituto di statistica di ben due punti rispetto al mese prima (a quota 111,6). E anche se il grado di fiducia del mondo imprenditoriale resta al di sopra del minimo di 98,2 punti toccato in febbraio, l'indice scende a quota 99,3 dopo il recupero a 100,2 del mese scorso. Né può essere di conforto il settore commerciale, tornato ai massimi da marzo ma solo grazie alle aspettative favorevoli per la prossima stagione dei saldi.
Le cause di questo deterioramento della fiducia sono per lo più strutturali. Confcommercio ricorda infatti come l'inizio del trend decrescente si possa collocare nel secondo quarto dello scorso anno per i consumatori e alla fine del 2017 per le aziende. «Non è quindi fenomeno nuovo, nè può essere semplicisticamente collegato a questioni mediatiche o ad accidentali eventi della politica corrente». Eppure, non si può negare che il peggioramento della situazione sia anche legato alle mosse - e alla conflittualità - del governo. Una fonte di incertezza è, per esempio, il braccio di ferro sui conti con l'Europa che potrebbe costare all'Italia l'apertura di una procedura d'infrazione per debito eccessivo. Così come le promesse d'introdurre salario minimo e flat tax si scontrano non solo col problema delle coperture finanziarie, ma soprattutto con una realtà di segno opposto, data da una pressione fiscale salita al 38% nel primo trimestre. Ciò ha due conseguenze: l'aumento della propensione al risparmio e, appunto, la perdita di fiducia. Conferma infatti Paolo Mameli, senior economist della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo: «L'incertezza viene da una possibile escalation della guerra commerciale, ma soprattutto dall'evoluzione del quadro politico e fiscale domestica». Carlo Rienzi, presidente del Codacons, rincara la dose: «Le guerre interne al governo e i continui scontri tra Lega e M5s minano l'ottimismo dei consumatori e le aspettative sul futuro, con effetti diretti per l'economia».
Per la verità è l'intera Europa ad accusare un peggioramento del cosiddetto del sentiment economico. In giugno l'Esi, rilevato dalla Commissione Ue, ha segnato un netto calo sia nell'area euro, dove scende di 1,9 punti a 103,3, che nell'Unione europea, dove perde 1,5 punti a 102,3. Cifre che sono legate al progressivo rallentamento del ciclo, di cui la trade war tra Usa e Cina è tra i principali responsabili.
È del resto quel deterioramento più pronunciato del previsto, che ha indotto il presidente della Bce, Mario Draghi, a rompere gli indugi e a dare come possibile un taglio dei tassi corroborato dal riavvio del piano di acquisto titoli. Anche a costo di creare veleni all'interno del consiglio dei governatori dell'Eurotower.
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