Le accomuna il No al referendum costituzionale e l'opposizione a Matteo Renzi, ma le due minoranze Pd si differenziano per molto altro. A cominciare dai toni. Evitano quelli apocalittici, Pier Luigi Bersani e i suoi, invitando Massimo D'Alema a una maggiore «compostezza».
Lui, il Lider Maximo, ha scelto lo scontro frontale e continua a insultare il premier e la sua riforma accusando il fronte del Sì di avere alle spalle «poteri forti». Lo fa insieme a Gaetano Quagliariello, mettendo insieme un gruppo che va dagli azzurri Romani, Gasparri e Matteoli a Civati e Fini, fino ad esponenti della Prima Repubblica come Cirino Pomicino e Dini. I bersaniani storcono la bocca, la definiscono «un'accozzaglia».
Così come sono critici sul tentativo del fronte del Sì di pescare voti nel bacino degli indecisi del centrodestra, sostenendo che la riforma Boschi ha molti punti in comune con la proposta del governo Berlusconi per superare il bicameralismo. Lo ha fatto il sito ufficiale BastaunSì e l'idea non è piaciuta nella corrente bersaniana.
Lo stesso sito ieri attaccava in un editoriale le «false promesse» di D'Alema e Gaetano Quagliariello: «Il confronto tra il Sì e il No non è uno scontro tra partiti, né tra singoli esponenti politici: è tra chi vuol accompagnare l'Italia verso una Repubblica rinnovata e chi vuole riaprire la Prima Repubblica. Quando D'Alema parla di un fantomatico blocco di potere a favore del Sì al referendum a noi viene da pensare piuttosto al potere di blocco che in Italia spesso ha impedito le riforme e la modernizzazione». Per BastaunSì non c'è «progetto alternativo all'attuale riforma costituzionale, c'è solo il magico mondo dei Parlamenti frammentati, delle maggioranze deboli, delle minoranze di blocco e degli inciuci da corridoio».
Il Pd è spaccato, insomma, e lo è altrettanto la sua minoranza. Un po' spiazzata dall'offerta di due poltrone nella nuova commissione per riformare l'Italicum, istituita dal premier per le modifiche della legge elettorale, che comincerà a lavorare lunedì prossimo.
Uno solo dei posti per la fronda antirenziana sarà occupato da Gianni Cuperlo, ma di malavoglia, con malcelato scetticismo. Le critiche alla riforma poggiano sull'accusa che il «combinato disposto» con l'Italicum esporrebbe ad un rischio «regime» e si discuterà di allargare il premio alla coalizione, di andare sul turno unico e di ridimensionare il numero dei capilista bloccati. Ma i bersaniani avrebbero preferito un'altra via, più diretta.
«Perché Renzi - ripete Cuperlo in tv - non si prende la responsabilità di fare una proposta del Pd sulle correzioni alla legge elettorale e ci mette subito la faccia?».
La situazione, tra i Dem, è molto tesa e l'ex presidente della Camera Luciano Violante cerca di rasserenare gli animi. «Certamente - dice - il referendum non è il giudizio universale, né si apriranno scenari catastrofici in caso di vittoria dell'una o dell'altra parte. Il Sì e il No hanno pari dignità». Quanto agli effetti, con il No «il sistema non cambia, continueremo nella instabilità e confusione delle regole», mentre con il Sì «si apre una nuova stagione per la modernizzazione del Paese».
I circoli del Pd promuovano confronti tra le ragioni del Sì e del No, chiedono su Facebook due Democratici per il No, Riccardo Agostini e Stefano Di Traglia.
Nel partito del premier le idee non sono affatto chiare. E a Bologna si litiga sul referendum: il capogruppo in Comune, Claudio Mazzanti, della minoranza dem, non vuole firmare il documento per il Sì e l'altro fronte chiede le sue dimissioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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