Lo sbaglio che è costato di più? L'iniziale sottovalutazione del rischio contagio sia nelle strutture sanitarie sia nelle Rsa. A pagare il prezzo più alto medici, infermieri e anziani. Quanti e quali sono gli errori della gestione della prima fase della pandemia in Italia? Nell'oramai famigerato Report dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, pubblicato il 13 maggio scorso e subito ritirato, l'elenco è lungo. Ecco in estrema sintesi gli snodi critici individuati.
Un piano pandemico non aggiornato e soprattutto soltanto teorico: molte buone intenzioni ma nessuna misura concreta. In sostanza un piano operativo non lo avevamo. E proprio su questo punto è partito l'attacco del viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri che parla di « sciatteria e pressappochismo generalizzati, che hanno mandato a morire centinaia di medici e infermieri».
Poi l'iniziale carenza dei dispositivi di protezione personale accompagnata da indicazioni confuse e contraddittorie sul loro uso anche per i medici e infermieri che si sono trovati scoperti a dover fronteggiare un virus estremamente contagioso.
Ancora: un meccanismo di tracciamento farraginoso e sempre in ritardo rispetto all'andamento dell'epidemia. Un sistema di sorveglianza «not sensitive enough». Così poco sensibile da lasciarsi sfuggire il fatto che si stava alimentando un «cluster of unknow magnitude».
Drammatica la sottovalutazione del rischio di diffusione del coronavirus nelle strutture sanitarie e nelle residenze per anziani. Al 30 aprile il dato delle 28mila vittime era assolutamente sottostimato e soltanto in seguito quel dato è stato corretto in almeno 38mila. Diecimila vittime ignorate allora perché, precisa il documento, non si calcolavano i morti in casa e nelle Rsa. Proprio quello dei contagi nelle Rsa e negli ospedali è il capitolo più doloroso. Il report rileva come siano mancate indicazioni chiare per gli operatori sanitari. Di fronte alla malattia i medici dovevano prendere decisioni rapide mentre continuavano a ricevere protocolli di cura in continuo cambiamento. Comprensibile di fronte a un agente patogeno sconosciuto. Meno comprensibile l'averli lasciati scoperti a causa della carenza di mascherine e dispositivi di protezione affiancate ad esempio dall'indicazione che soltanto i medici sintomatici dovevano eseguire il tampone, favorendo così la diffusione del coronavirus nelle strutture sanitarie.
Trascurate, almeno inizialmente, le ricadute psicologiche del lockdown duro soprattutto rispetto al rischio di un boom della violenza domestica sulle donne. Poi l'infodemia: informazione impazzita sui social ma anche sui canali di informazione generalisti, tv e stampa, infestati dalle fake news sul virus e sulle cure, supportate dalle tesi di molti presunti esperti accanto a quelli effettivamente tali.
Infine ad aggravare tutto il quadro il conflitto di poteri tra regioni e governo: una contrapposizione strutturata nel nostro ordinamento, esplosa nella gestione della pandemia.
Il rapporto è stato reso di nuovo pubblico dopo le accuse di censura. Accuse minimizzate dall'Oms che ha spiegato di aver ritirato il documento perché pieno di «inesattezze fattuali». La premessa dei ricercatori dell'Oms (un gruppo con sede a Venezia coordinato dal funzionario Francesco Zambon) era di non avere alcuna pretesa di completezza o fornire un giudizio ma soltanto di raccogliere più dati possibile «a caldo», appena conclusa la prima fase dell'epidemia.
Dunque il rapporto non è un giallo che al termine ci serve su un piatto d'argento un colpevole o almeno un gruppo di responsabili.
Ma lettura non è inutile perché mettere insieme tutti quegli elementi che sono man mano emersi nel corso di quei giorni drammatici illumina snodi cruciali, fornisce chiavi di lettura che magari sarebbero risultate utili per entrare con maggiore sicurezza nella seconda fase che si è rivelata più insidiosa della prima. Insomma sarebbe stato meglio non ritirarlo; si sarebbero evitate polemiche e ne sarebbe scaturita maggiore trasparenza.
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