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Il Jobs Act di casa Renzi Operaio vince la causa ma papà Tiziano non paga

Inchiesta di «Panorama»: un dipendente chiede di essere messo in regola e viene cacciato. Il giudice gli dà ragione, ma il risarcimento non arriva

Per molti, vedi Lupi, i guai arrivano dai figli, per Renzi arrivano dal papà Tiziano. Prima l'indagine per bancarotta fraudolenta sulla sua ex società, Chil Post (ma i pm hanno già chiesto l'archiviazione), poi il regalino dalla Regione Toscana a guida Pd che gli salda più di 200mila euro di debiti con i fondi di Fidi Toscana, la finanziaria regionale. Adesso è Panorama a svelare un'altra vicenda imbarazzante - specie in tempi di Jobs Act e dibattito sui diritti di chi lavora - con al centro sempre Renzi senior.

È sempre lui a fondare, nel 2013, un'altra Srl, la Arturo, che finirà male come l'altra. Ma peggio ancora finisce un dipendente dell'azienda posseduta al 90% da papà Renzi, e per il resto dalla sorella del premier. Si chiama Evans Omoigui, cittadino nigeriano di 35 anni, assunto dall'azienda dei Renzi nel 2007 ma licenziato in tronco solo due mesi dopo, senza l'ombra di giusta causa, solo perché aveva chiesto di essere messo in regola, come stabilirà il giudice del Tribunale di Genova nel 2011 («Privo della forma scritta, intimato oralmente, comporta l'assoluta inefficacia dello stesso» scrive il giudice nell'atto). Il tribunale condanna Tiziano Renzi a risarcire Omoigui con quasi 90mila euro. Soldi, però, racconta Antonio Rossitto su Panorama - che ha ricostruito nei dettagli la vicenda - mai più versati dal padre del premier, con conseguenze devastanti per l'ex dipendente. Che, dopo continui ma inutili solleciti degli avvocati, entra in un vortice di disperazione e rabbia. Per poi finire sulle cronache locali con questo titolo: «Malato e truffato sale sulla gru. Vince la causa ma il datore di lavoro non paga e lui minaccia il suicidio». Il datore di lavoro che non paga è Renzi senior, il disperato che tenta il suicidio perché vittima di un'ingiustizia è proprio lui, l'ex dipendente della Arturo Srl, la società della famiglia Renzi.

«Appena viene notato - scrive il settimanale - scatta l'allarme. Arrivano polizia e vigili del fuoco, che gonfiano un enorme materasso ai piedi della gru. Alcuni agenti, intanto, salgono sul tetto del palazzo accanto. Parlano con l'uomo. Cercano di farlo rinsavire. Ma tutto sembra inutile: Omoigui vuole farla finita davvero. Continua a farfugliare confuso: «Il padre del sindaco di Firenze mi deve 90 mila euro. Non ce la faccio più. Voglio morire». La notizia esce, senza risalto nazionale, nell'agosto 2013, cioè nella stagione delle primarie Pd. Sulle pagine genovesi di Repubblica si legge che «Matteo Renzi precisa di essere estraneo all'attività dell'azienda paterna».

Il futuro premier, però, c'entra con la Chil Post, l'altra società dei Renzi, che subappalta lavori proprio alla Arturo Srl. E a ben vedere c'è un lavoratore che le aziende di papà Renzi hanno trattato con i guanti bianchi: Matteo Renzi. «Prima di diventare presidente della Provincia di Firenze nel 2004 - ricorda Panorama - Renzi viene promosso da co.co.co a dirigente. La sua retribuzione passa da 500 a 4.440 euro lordi al mese. Un aumento di cui la Chil s'è fatta carico per appena sette mesi. Dopo, i contributi previdenziali sono stati versati prima dalla Provincia e poi dal Comune di Firenze, dove nel 2009 Matteo viene eletto sindaco. Così, in dieci anni, il futuro premier ha accumulato un vero tesoretto previdenziale: 200mila euro».

Un trattamento ben diverso da quello riservato al povero Omoigui, nel frattempo tornato in Nigeria e non più rintracciabile (il settimanale ha provato ma nemmeno i suoi ex avvocati hanno più contatti: «Dopo la morte di suo padre è partito per la Nigeria - raccontano i legali - Era gravemente malato, viveva per strada, angosciato e incattivito. E pensava di aver ricevuto un torto enorme: non riusciva a darsi pace»). Durante il processo Tiziano Renzi non si presenta neppure alle udienze.

Ecco, per Panorama , «il Jobs Act di casa Renzi».

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