Johnson sfida partito e il suo elettorato per difendere lo scandaloso Cummings

Il premier in tv si schiera con il consigliere scoperto a violare il lockdown: "Ha fatto bene". Ma la cosa potrebbe costragli cara

Johnson sfida partito e il suo elettorato per difendere lo scandaloso Cummings

Dominic Cummings rimane al suo posto. Per il momento. Il primo ministro inglese Boris Johnson ha ieri difeso il suo più influente consigliere dopo che il Mirror e il Guardian hanno rivelato venerdì che Cummings, con sintomi di coronavirus, ha viaggiato a fine marzo assieme alla moglie infetta da Londra fino alla casa dei genitori, 400 chilometri a nord. La coppia era preoccupata di non poter accudire il figlio di pochi anni nel caso di un peggioramento di entrambi. Ha agito «responsabilmente, legalmente e con integrità», ha dichiarato Johnson, nonostante il comportamento di Cummings sia stato in evidente contrasto con le linee guida governative: in caso di sintomi, state in isolamento nella vostra abitazione senza uscire per nessun motivo. Ieri i due giornali inglesi hanno anche rivelato che testimoni avrebbero visto Cummings a Barnard Castle, 40 chilometri dalla casa dei genitori, il 12 e il 19 aprile, dopo che il 14 veniva fotografato a Downing Street. Un secondo viaggio da Londra in barba al divieto di spostamento imposto dal lockdown che ha bloccato il Paese, un fatto negato ieri da Johnson che ha parlato di inesattezze riportate dalla stampa. Senza tuttavia specificare quali.

Al di là dei dettagli, è un dato di fatto che Cummings non abbia rispettato le regole e il messaggio anti CV19 che lui stesso ha contribuito a definire. La difesa governativa non è negare l'accaduto ma ammantarlo di una cornice di comprensione per farlo apparire meno grave, più vicino alla sensibilità delle persone comuni: «Penso che ciò che ha fatto sia totalmente comprensibile - ha detto Johnson credo che ogni padre, ogni genitore capisca quello che ha fatto, io certamente». Il primo ministro ieri è sceso in campo direttamente per difendere il suo consigliere, presiedendo la consueta conferenza stampa di fine giornata. Una scelta dell'ultimo minuto che sottolinea la gravità del momento. Sabato il governo ha d'istinto fatto quadrato attorno a Cummings ma ieri sono apparse le prime crepe nella maggioranza e a fine giornata sono molte le voci di esponenti conservatori che ne chiedono le dimissioni. Il primo a uscire allo scoperto è stato Steve Baker, influente ex presidente dello European Research Group, un gruppo che raccoglie alcuni tra i più convinti parlamentari conservatori pro Brexit. Baker ha parlato alla Bbc di una pantomima che il Paese non si può permettere e dopo di lui altri esponenti del partito hanno iterato il messaggio chiedendo le dimissioni di Cummings.

La difesa approntata da Johnson rischia di mettere il governo in rotta di collisione con una parte del partito: enorme è il capitale politico che il primo ministro dovrà spendere per poter salvare Cummings. Lo sforzo potrebbe minare il consenso guadagnato nel Paese alle ultime elezioni, dove i conservatori hanno conquistato molte ex roccaforti laburiste con l'impegno di fare la Brexit e ridare voce alle comunità più emarginate del nord. Due promesse che si basavano anche su una narrazione anticasta che ora rischia di essere minata da un politico che non rispetta le regole senza pagare alcuna conseguenza.

Cummings ha ideato la strategia vincente che ha condotto il leave alla vittoria ed è uno degli artefici del successo Tory delle elezioni di dicembre.

Se salvarlo dovesse significare perdere l'appoggio dell'elettorato, non tanto l'élite londinese ma la pancia dell'Inghilterra profonda, se tenerlo a galla dovesse bloccare l'agenda conservatrice, allora la sua testa cadrà.

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