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Joshua Wong arrestato. La Cina tenta di salvare la sua festa nazionale

Udienza prevista per il 30 settembre, vigilia del National Day. Per scoraggiare le proteste

Joshua Wong arrestato. La Cina tenta di salvare la sua festa nazionale

Evitare a tutti i costi che qualcuno a Hong Kong rovini l'evento sacro in Cina, quella Festa nazionale della Repubblica Popolare che anche questo primo ottobre celebrerà in pompa magna la superpotenza, tra maestose parate militari, carri armati e missili intercontinentali. E far passare la voglia ai manifestanti pro-democrazia di tornare in piazza in questo anno simbolico già funestato dal coronavirus e dalla nuova guerra fredda con gli Stati Uniti. Ecco perché Yoshua Wong, 24 anni, anima e leader del movimento per le libertà di Hong Kong è stato arrestato ieri e dovrà comparire proprio il 30 settembre, vigilia del National Day, davanti ai magistrati. Perché l'udienza sia di monito a tutti gli altri attivisti e per lasciare meno tempo al giovane e agli altri studenti di preparare le proteste della prossima settimana.

Un arresto esemplare, quello di Wong. Dimostrativo. Seguito da un rilascio su cauzione qualche ora dopo. L'ex segretario del partito pro-democrazia Demosist, già arrestato nel 2017 e l'anno scorso per non aver rispettato l'ordine di interrompere le manifestazioni nel distretto di Mong Kok, rischia adesso 5 anni di carcere per aver partecipato a un'assemblea non autorizzata il 5 ottobre scorso e un anno di cella per aver indossato la mascherina nera (simbolo della protesta prima dell'avvento del Covid), impedendo così di rendersi riconoscibile. Joshua Wong fu uno delle migliaia di cittadini di Hong Kong che sfidarono il divieto di indossare la mascherina. L'Alta Corte dichiarò poi parzialmente incostituzionale la misura, peraltro superata nei mesi successivi dalle precauzioni anti-coronavirus.

Wong promette di non arrendersi, definisce il suo arresto la prova degli abusi del sistema giudiziario della metropoli finanziaria, ormai «sotto il controllo di Pechino», ma soprattutto chiede a tutti di non concentrarsi solo sul suo caso, che è la punta di un iceberg. Cita le 12 persone arrestate in Cina ad agosto, accusate di aver tentato di fuggire illegalmente in barca da Hong Kong a Taiwan. E spiega che, nonostante il suo rilascio veloce, «non c'è nulla da festeggiare».

In effetti con Wong, agli arresti per partecipazione a protesta non autorizzata, è finito anche l'attivista Koo Sze-yiu. Malato terminale di cancro, era stato fermato l'ultima volta a giugno, accusato di profanazione della bandiera di Hong Kong. Ieri è stato anche lui rilasciato dopo un interrogatorio e attende l'udienza del 30.

«Il mondo condanni gli arresti brutali» dice da Londra, dove si trova in esilio, l'altro leader della protesta pro-democrazia, Nathan Law, tirando per la giacchetta la comunità internazionale. «Si vuole mettere a tacere un combattente per la libertà». Ma dall'Unione Europea arriva solo una condanna verbale per un «arresto preoccupante», che «mina la fiducia nella Cina». L'Ue ribadisce «che un sistema giudiziario indipendente, che operi privo di influenza e considerazione politica, è una pietra angolare dell'autonomia di Hong Kong secondo il principio un Paese, due sistemi ed è protetto dalla Costituzione». Parole che non serviranno da monito a Pechino, impegnata in patria e nell'ex colonia britannica a spegnere ogni dissenso possibile.

La sfida per il futuro democratico di Hong Kong avviene nel mezzo di uno scontro politico, ideologico, commerciale e sanitario fra Washington e Pechino, con Trump che appena qualche giorno fa ha accusato la Cina di essere responsabile della diffusione del coronavirus dal pulpito dell'Assemblea generale dell'Onu. E la voglia di vincere questa nuova guerra fredda, su più fronti, sembra spingere Pechino verso continue violazioni dei diritti umani. Nelle scorse ore si è scoperto che è in stato di detenzione Chen Qiushi, ex avvocato che ha vestito i panni del giornalista a Wuhan, culla del coronavirus. Scomparso da febbraio, mentre riferiva e commentava gli interventi cinesi sul Covid-19, sarebbe «in buona salute», ma ancora sotto la supervisione di «un certo dipartimento governativo» a Qingdao, nello Shandong, secondo l'amico Xu Xiaodon, star delle arti marziali che ha raccontato il destino del reporter improvvisato. Pechino non smette di usare il pugno di ferro contro chi rivela verità scomode o è considerato nemico del regime.

Uno studio dell'Australian Strategic Policy Institute ha svelato che la Cina ha costruito o ampliato 380 campi di internamento dal 2017, nella regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang, dove vivono gli uiguri e altre minoranze di fede musulmana.

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