Mentre Matteo Renzi sceglie San Pietroburgo per tenersi quanto più possibile lontano da Roma e dalle vicende italiane e cioè dai risultati per lui molto incerti dei ballottaggi di domani la politica internazionale è proprio sulla Capitale e sull'Italia che punta i suoi riflettori, in attesa di capire se e come l'antipolitica grillina conquisterà la città eterna e non solo. D'altra parte, non è un mistero che Virginia Raggi la candidata al Campidoglio dei Cinque stelle sia stata una sorta di superstar della stampa estera fin dal primo turno, con il Financial Times che ha parlato del voto romano come di un «rimprovero populista a Renzi». È dunque per certi versi nelle cose che il livello di attenzione resti alto, per il valore simbolico di Roma che all'estero non è solo la capitale del Paese ma anche della cristianità. E per il fatto che l'onda grillina potrebbe straripare fino a Torino dove sono in molti a parlare di partita «apertissima» tra Piero Fassino e Chiara Appendino.
Insomma, il timore che dall'Italia domani sera possa arrivare una forte sterzata anti establishment c'è. Anche in vista del voto di giovedì prossimo, quando i cittadini della Gran Bretagna saranno chiamati a votare il referendum sulla Brexit (ovvero dovranno decidere se voglio restare o no nell'Ue). Il rischio, secondo molte cancellerie europee, è quello di una sorta di effetto domino che finisca per paralizzare le istituzioni europee. Uno scenario peraltro prospettato recentemente proprio da Nigel Farage, leader euroscettico dello Ukip. «Il 19 giugno i Cinque stelle eleggono il sindaco di Roma e cambiano l'Italia. Il 23 giugno la Gran Bretagna esce dall'Ue e cambia l'Europa. Così Grillo e io spiegava la scorsa settimana in un'intervista al Corriere della Sera distruggeremo la vecchia Unione europea, perché dopo di noi gli altri Paesi del Nord se ne andranno uno dopo l'altro». Renzi, in verità, pare vederla diversamente. Tanto che al Business forum di San Pietroburgo dice che nel caso di uscita dall'Ue «chi rischia di più sono i cittadini inglesi e non quelli europei». A parole, perché sono mesi che a via XX Settembre il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha predisposto un piano proprio per far fronte alla Brexit.
Insomma, Farage avrà magari peccato di «ottimismo», ma certo il timore di un effetto a catena serpeggia da settimane. Ne sanno qualcosa sia a Palazzo Chigi che alla Farnesina, visto che il tema è all'ordine del giorno dei colloqui informali con le varie diplomazie europee. Per Renzi, insomma, il pericolo è che questa tornata amministrativa lo riconsegni alla scena internazionale con un'immagine ben diversa da quella del giovane e vincente rottamatore. Non solo per la probabile sconfitta a Roma, notizia come detto che farebbe in un attimo il giro del mondo. Ma anche perché dopo oltre due anni di governo sarebbe su di lui che ricadrebbe la responsabilità dell'avanzata grillina. Anche in quest'ottica, dunque, pesa il risultato di Torino.
È improbabile, certo, ma se davvero Appendino dovesse spuntarla sull'ultimo segretario dei Ds (quello che nel 2007 li portò a confluire nel Pd) l'uno-due sarebbe pesante. E all'estero quello di parlare un inglese per così dire «poco fluente» non sarebbe più il principale problema di Renzi.
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