L'unica differenza sono le sirene: suonano e dicono ai veneziani: arriva l'acqua, arrangiatevi. Il 5 novembre del 1966 ero con gli amici a tirar su dall'acqua i libri della biblioteca marciana: il giorno prima c'era stata un'alta marea devastante, come mai, noi, avevamo visto. Tanto per ricordare, erano i giorni terribili in cui l'alluvione aveva devastato anche Firenze, e s'era generata una gara drammatica tra noi ragazzi di Venezia e quelli di Firenze su chi fosse riuscito a impegnarsi di più nel salvare la bellezza di due magnifiche città.
Edizioni aldine spappolate nell'acqua, manoscritti preziosi a brandelli, miniature di valore incommensurabile. Tutto distrutto da una mareggiata di proporzioni enormi. Adesso abbiamo le sirene che ci avvisano dell'arrivo dell'acqua alta, ma non abbiamo il Mose che ci protegga da essa, cioè non abbiamo quelle miracolose dighe mobili che proprio per eventi così eccezionali avrebbero potuto proteggere Venezia. Dopo l'alta marea del '66 (l'aqua granda)si era provveduto a rafforzare le dighe a mare, quelle del Lido e di Pellestrina, innanzitutto, ed era incominciato il dibattito sulla salvaguardia della città che avrebbe portato alla faraonica costruzione del Mose. Inutile nascondere che i veneziani sono abituati all'acqua alta, ma, per così dire, a una acquetta, per cui basta mettersi gli stivaloni, camminare sulle passerelle, tirar su dal pavimento dei negozi la merce appena si sentono le sirene, e con rassegnata sopportazione si attende l'arrivo della marea. Ma quella di proporzioni come nel '66 e come ieri, grazie a San Marco non è tanto frequente. Appena arriva alta, media, bassa che sia - ecco il solito copione recitato dagli amministratori che invocano protezioni mondiali, accompagnate da «l'ho sempre detto e nessuno mi ha mai ascoltato». Balle. Una vera amministrazione che s'interessasse di Venezia e non si preoccupasse soltanto di Mestre dove si prendono i voti, essendo Venezia e Mestre l'assurdità di un unico comune per due città con problemi amministrativi diversissimi, e avendo Mestre il triplo degli abitanti di Venezia è evidente che sia lì che si prendono i voti per farsi eleggere sindaco: dunque un'amministrazione che s'interessasse veramente di Venezia l'avrebbe difesa, protetta, salvata da un fenomeno naturale assolutamente prevedibile.
Mezzo secolo fa c'erano ancora a Venezia tanti ragazzi che, si sa, per loro natura, riescono nel dramma a trovare perfino il gioco. Mi ricordo che dopo la grande mareggiata, ce ne furono nei giorni immediatamente seguenti altre di minore entità. Allora si girava coi canotti per la piazza, i campi, le calli ancora coperti dall'acqua per raccogliere cose disperse che parevano di un certo valore, portandole ai centri di raccolta posizionati nei punti più alti della città dove l'acqua non riusciva ad arrivare: ma tra giovani, adulti, anziani, c'era comunque in tutti una speranza, quella che un dramma così non sarebbe più accaduto grazie alla consapevolezza di politici nazionali e amministratori locali. Non è stato così.
Proprio Indro Montanelli, da queste pagine, tuonò contro la stupidità di amministratori che si ostinavano a tenere unite le due città di Venezia e Mestre non facendo il bene né dell'una né dell'altra. Montanelli s'impegnò perché Venezia fosse tutelata da una legge speciale, si schierò apertamente quando il ministro Bruno Visentini nel 1979 promosse il primo referendum per la separazione amministrativa di Venezia e Mestre: referendum bocciato per il prevalere di interessi economici, perché togliere le mani sulla città è sempre un'impresa ardua, se non donchisciottesca.
Il primo dicembre si vota per un nuovo referendum, identico a quello del '79. Chissà che dall'alto dei cieli e da qualche imprevedibile congiunzione astrale San Marco, Montanelli, Visentini ispirino un po' d'amore ai veneziani per la loro città.
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