I suoi diretti avversari lo definiscono chouchou des médias, Emmanuel Macron, 39 anni, leader del partito En Marche, considerato da buona parte dell'apparato politico-mediatico l'unico candidato che può far dimenticare il quinquennio fallimentare del socialista François Hollande e fermare la cavalcata di Marine Le Pen. «Bravo ragazzo», primo della classe, l'enfant prodige d'Oltralpe assomiglia più ad un prodotto di marketing elettorale che ad un candidato in corsa per l'Eliseo. Nato ad Amiens, a 16 anni si trasferisce a Parigi per frequentare il miglior liceo della capitale, il celebre Henri IV, per poi entrare nell'incubatore della classe dirigente francese: Normale Sup e Ena.
In poco tempo Macron ottiene un biglietto d'ingresso nel gotha politico-finanziario, diventando, ad appena 30 anni, il banchiere della famiglia Rothschild. Con Hollande si sono conosciuti grazie alla mediazione di Jacques Attali, lo storico consigliere di François Mitterrand. Questo incontro sancirà nel 2012 la nomina a vice segretario generale della presidenza della Repubblica francese. Onnipresente, pur restando nell'ombra, Macron si dedica anima e corpo alle riforme economiche: è lui la mente dietro il «patto di solidarietà e responsabilità», volto ad abbassare i contributi a carico delle aziende al fine di stimolare l'occupazione. Un iper-attivismo che gli garantirà nel 2014 il posto da ministro dell'economia, dell'industria e del digitale nel governo, in sostituzione di Arnaud Montebourg. Da nuovo inquilino di Bercy - darà le sue dimissioni ad agosto del 2016 per dedicarsi anime e corpo alla sua piattaforma politica - si batte per l'approvazione della legge che poi porterà il suo nome vertente sulla deregolamentazione e l'apertura di nuovi mercati, come quello dei trasporti. Da quel giorno inizia la «macronizzazione» del Partito Socialista: il premier Manuel Valls porta avanti la svolta securitaria, Emmanuel Macron garantisce quella liberista. È la fine della gauche tradizionale che in queste presidenziali scarica sulle spalle di Benoit Hamon, leader sacrificale, la sconfitta probabilmente più pesante della storia socialista.
A dividersi un elettorato di sinistra in decomposizione sono Jean-Luc Mélenchon, Marine Le Pen e lo stesso Emmanuel Macron. Il primo incassa il voto ideologico, la seconda quel poco che restava del consenso operaio e il leader di En Marche si porta a casa tutti i moderati. Se il Front National - primo partito di Francia - fa leva su una narrazione aldilà della destra e della sinistra, anti-libertaria e anti-liberale, anti-europeista e anti-globalista, l'ex ministro di Hollande si dice di destra e di sinistra, liberale e libertario, europeista e globalista allo stesso tempo. Refrain del macronismo è infatti la volontà di riconciliare progresso e libertà. Come la Le Pen si presenta come candidato antisistema, contro i responsabili di quel «sistema bloccato», di cui ha fatto parte ma che ora vorrebbe rompere.
Da candidato di un partito minoritario nato soltanto un anno fa si è accreditato velocemente attraverso i sondaggi - per quanto possano valere - tra i favoriti in corsa per l'Eliseo. Alcuni lo darebbero persino vincente. Ma dopo la Brexit e l'elezione di Donald Trump la domanda sorge spontanea: i palloni gonfiati dai media «autorevoli» quanto incidono nell'immaginario collettivo del Paese reale?
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