Allacciati, uniti, abbracciati, ci scappa pure il bacetto. Due corpi e un anima gialloverde, insieme per mano a fare la cosa che riesce loro meglio: promettere soldi e giurare di passare per le armi un esercito di nemici più o meno immaginari che quei soldi vogliono negare al popolo.
Così ieri si sono materializzati Luigi Di Maio e Matteo Salvini a Vicenza, davanti alla folla eccitata e inferocita dei cosiddetti «risparmiatori truffati» (non tutti risparmiatori e non sempre truffati) delle banche venete, cui sono andati a garantire rimborsi totali, assoluti e senza controlli, promettendo intanto guerra all'Europa, che li ha bocciati, a Bankitalia, a chiunque incroci la loro marcia trionfale.
«I nostri rapporti? Ottimi. Facciamo anche i duetti come a Sanremo», gorgheggia Di Maio quando gli chiedono se si vogliano ancora bene. E Salvini ricambia difendendo a spada tratta il suo alleato: «Se è andato ad incontrare i Gilet Gialli lo ha fatto perché lo riteneva giusto, chi sono io per dare giudizi?». La colpa è ovviamente di altri, in questo caso di Macron: «Qualcuno in Francia usa la diplomazia per coprire problemi interni».
Come se invece i due vicepremier non avessero dichiarato la loro guerra dei bottoni a Parigi (salvo precipitosa ritirata) per coprire il problemino interno del Pil in picchiata e del crollo della produzione industriale.
L'abbraccio di Vicenza è la risposta di Salvini a chi, dal centrodestra, incita la Lega a divincolarsi dall'abbraccio con i grillini e la loro politica economica che sta paralizzando il Paese, precipitandolo rapidamente verso la decrescita, e pure infelice. È la risposta anche a quel pezzo di Lega che scalpita spazientito, a quei ministri che inveiscono: «Saremmo dei pazzi a restare con questi matti fino alla prossima finanziaria», e a quei pensosi commentatori dei giornali che continuano a pronosticare che presto la maggioranza grilloleghista si romperà su questo o su quello, perché «Salvini non può accettare il no alla Tav» o «i Cinque stelle non possono permettersi di salvare Salvini dal processo Diciotti». Invece possono, eccome: la Lega incassa senza reagire il blocco alle grandi opere o il reddito di cittadinanza a pioggia, e Di Maio si prepara a far votare no alla richiesta del Tribunale dei ministri sul caso Diciotti. Stare al governo e gestire da lì il potere è molto più importante, per entrambi, dei cedimenti su questo o quel punto «irrinunciabile». Certo, il leader della Lega spera di riuscire, grazie ai risultati delle Europee, ad invertire i rapporti di forza all'interno della maggioranza, e ad avere alcuni ministeri chiave ora in mano ai grillini. Poi si vedrà, perché la prospettiva della manovra lacrime e sangue che bisognerà fare in autunno spaventa tutti.
Intanto, però, Di Maio e Salvini restano abbracciati: «Sono due facce della stessa medaglia: fingono di litigare perché questo gli serve a occupare sia lo spazio della maggioranza che quello dell'opposizione, ma alla fine si mettono sempre d'accordo. Perché in fondo sono la stessa cosa», nota il parlamentare veneto di Forza Italia Marco Marin.
Che sulle promesse fatte dai due a Vicenza ai «risparmiatori truffati» sottolinea: «Da Fi e dall'opposizione gli avevamo detto in tutti i modi che il provvedimento sui risarcimenti era fatto male e sarebbe stato bocciato dalla Ue, come è successo». E infatti a Vicenza i due si sono presi anche un bel po' di fischi: «Siete come gli altri», gli hanno urlato.
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