L'accusa della Procura: «Per la devastazione rischiano fino a 15 anni»

Ma Bruti Liberati è comunque soddisfatto: «Forze dell'ordine all'altezza della situazione»

L'accusa della Procura: «Per la devastazione rischiano fino a 15 anni»

Milano«Una gestione di grande efficacia e saggezza in condizioni difficilissime»: così ieri pomeriggio Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica, definisce la linea seguita dalle forze dell'ordine durante il venerdì d'inferno rifilato a Milano dai black bloc. Il bilancio di arresti è quasi insignificante: cinque arresti, una dozzina di denunce a piede libero. Nulla, rispetto alle settanta celle che erano state tenute libere a San Vittore. Ma per fare di più, sarebbe stato necessario andare ad uno scontro dalle conseguenze incalcolabili, «ci sarebbero andati di mezzo - dice Bruti - anche i settori non violenti del corteo, i passanti, i cittadini». La risposta dei responsabili dell'ordine pubblico è stata «ferma e proporzionata, data la situazione».

Il capo della Procura sa bene che adesso l'attenzione è puntata sul suo ufficio, sul rigore con cui verranno condotte le indagini e i processi su una giornata di violenza che ha comunque superato ogni limite immaginabile. Linea dura, dunque: a partire dall'accusa che si è deciso di contestare ai cinque arrestati, «devastazione e saccheggio», pena dai cinque agli otto anni di carcere, ben sapendo che - passata l'ondata dell'emozione e dell'indignazione - i processi dovranno misurarsi con le prove disponibili a carico di ogni singolo imputato. Per questo la Procura ha compiuto una scelta precisa. Nessun processo per direttissima, come pure spesso accade nei casi di arresto in flagrante. Si procederà con i modi e i tempi del rito ordinario, a partire dalla richiesta al giudice preliminare di convalidare i fermi e di spiccare mandato di cattura in carcere nei confronti dei fermati. I primi interrogatori dovrebbero avvenire nella giornata di domani.

A occuparsi dell'inchiesta sarà il pool antiterrorismo, coordinato dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. Nei giorni scorsi Romanelli ha evitato con cura qualunque polemica verso il tribunale, che aveva rifiutato di espellere dall'Italia tre antagonisti tedeschi scesi a Milano apposta per il corteo anti-Expo, con una decisione che ad alcuni era apparsa eccessivamente garantista. Ma ora il timore è che gli stessi motivi - la mancanza di elementi «individualizzanti» - che avevano portato a non espellere i tre autonomen possano essere utilizzati per cavare dai guai gli arrestati di venerdì. L'accusa di devastazione è pesante, ma è complicata da dimostrare. Che i cinque fossero in piazza è sicuro, ma questo non è sufficiente di per sè a incastrarli per un reato così grave; e lo stesso varrà per gli altri manifestanti che verranno identificati in base ai filmati che gli analisti della polizia stanno passando alla moviola.

Il problema, anche se in Procura ufficialmente non se ne parla, è che l'accusa di devastazione è una scelta praticamente obbligata: perché è l'unica che consente il mandato di cattura, e perchè grazie a una legge recente, ampiamente criticata dai sindacati di polizia, tutti gli altri reati che potrebbero venire contestati agli arrestati ricadono potenzialmente sotto l'ombrello della legge sulla «particolare tenuità», in base alla quale il processo potrebbe non iniziare nemmeno. La norma, come è noto, permette che venga considerato «tenue» qualunque reato punito dal codice penale con pene inferiori ai cinque anni di carcere. Ed eccoli, uno per uno: il danneggiamento, il danneggiamento a seguito d'incendio, il furto, la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, il travisamento, ovvero la norma che punisce chi prende «parte a pubbliche manifestazioni facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l'impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento». Sembra, a scorrere l'elenco, una fotografia praticamente perfetta di tutto quello che è accaduto venerdì a Milano.

Poco più di venti giorni fa, quando Il Giornale pubblicò l'elenco dei reati che per il governo erano passibili di «tenuità», non accadde nulla: nessun ripensamento, nessuna autocritica. Adesso è tardi. E c'è solo da sperare che l'accusa di devastazione resti in piedi.

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