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Lacrimogeni all'Eliseo e "Macron dimettiti". Così finisce la grandeur

L'assalto al palazzo presidenziale è il punto più basso della veloce parabola del leader

Lacrimogeni all'Eliseo e "Macron dimettiti". Così finisce la grandeur

Siamo arrivati a un passo dall'assalto fisico all'Eliseo. La polizia è ovviamente intervenuta per fermare i più esagitati tra i «gilet gialli» che già stavano dirigendosi verso la residenza ufficiale del presidente. Ma questa plastica rappresentazione di un malcontento popolare rabbioso contro l'uomo che appena un anno e mezzo fa aveva coronato, non ancora quarantenne, un'incredibile ascesa politica condotta quasi in solitaria la dice lunga su quanto in basso (e quanto in fretta) sia arrivata la parabole di Emmanuel Macron.

Un enfant prodige della politica scalzato dal trono di re Mida come se fosse un Hollande qualsiasi e ridotto a bersaglio passivo di quanti lo accusano di aver perso il contatto con la gente comune. E che sembra a suo agio solo nella gestione di strategie europee, nelle stanze ovattate di un potere sovranazionale che passa sopra le teste del francese medio.

Ieri sera erano più di mille, secondo dati della polizia, i manifestanti arrivati nella zona di Place de la Concorde con la ferma intenzione di raggiungere l'Eliseo per «farsi ascoltare da Macron». La stessa polizia, non potendo consentire un'azione minacciosa in stile Rivoluzione francese contro il palazzo del potere, ha usato i lacrimogeni per respingere la folla, che era arrivata a meno di cento metri dal suo obiettivo. È stato il culmine di una giornata di tensione nel quartiere attorno a Rue du Faubourg Saint-Honoré dove sorge l'Eliseo, che era presidiata fin dal mattino dalle forze dell'ordine: i «gilet gialli», infatti, non avevano fatto mistero già nei giorni scorsi di voler convergere sul palazzo presidenziale.

I dimostranti gridavano «Macron dimissioni» e il fatto che quando hanno cominciato a piovere lacrimogeni alcuni di loro abbiano cominciato a intonare la Marsigliese può far pensare a un tipico riflesso melodrammatico dei nostri «cugini d'Oltralpe», che con le battaglie di piazza hanno una notoria confidenza. Ma sarebbe ingeneroso liquidare così la protesta di ieri. Perché la rabbia sfogata davanti all'Eliseo va ben oltre la motivazione ufficiale che ha fatto da collante: non si protesta tanto per l'eccessivo rincaro del carburante, quanto contro la sempre più evidente distanza che Emmanuel Macron sembra frapporre tra sé e il sentire della gente comune. E in Francia, si sa, vestire i panni dell'aristocratico non porta bene, ormai, da secoli.

Certo, fa specie trovarsi a raccontare una rivolta di piazza contro un presidente che così poco tempo fa aveva celebrato la sua inattesa e clamorosa vittoria con una cerimonia spettacolare, accompagnata dalle note del beethoveniano Inno alla Gioia in omaggio al destino europeo della Francia. Ma non ci si può limitare a prendere atto della rapida slavina della popolarità di un uomo che aveva saputo sedurre i suoi connazionali con il suo idealismo e la presa di distanza dalla vecchia partitocrazia francese: questo crollo va interpretato, e probabilmente la spiegazione sta proprio nel fatto che Emmanuel Macron non è mai stato un politico, semmai un precoce e talentuoso grand commis, un super tecnico.

Questa carenza di esperienza nel contatto con il popolo gli presenta ora il conto. Macron l'Europeo, l'uomo a suo agio con i Grandi della Terra, non sa cogliere le vere attese dei suoi concittadini più piccoli. Che questa settimana hanno atteso ogni sera da lui un messaggio di comprensione per il loro disagio, per la difficoltà da lui provocata con le sue scelte al loro vivere quotidiano.

E quando hanno capito che quel messaggio non sarebbe arrivato, si sono ribellati.

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