L'affaire Napolitano ora fa tremare il governo

Le intercettazioni choc di Renzi e i colloqui spiati sull'ex capo dello Stato ricattato svelano un sistema di potere. Alfano sponsor di Adinolfi. Forza Italia: "Serve commissione d'inchiesta"

L'affaire Napolitano ora fa tremare il governo

Q ualcosa sta cambiando. La voce di Renzi fa capolino in intercettazioni volute dalla magistratura? Niente di male, ma è il segno di un cambiamento. La posizione dell'indagato in questione (il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi) è stata archiviata dai giudici dell'inchiesta sulla Cpl Concordia? Buon per lui. Ai lettori interessa altro. A partire da quei giudizi al vetriolo sul premier allora in carica. E quelle cene in ristoranti romani dove si discute di nomine e promozioni. Ma dove sfuggono pure maldicenze e insinuazioni. E qualcuno (come il comandante delle Fiamme Gialle Vito Bardi) arriva a commentare: «Mi sembra il tavolo della carboneria». Fino agli stralci dove viene citato il ministro Alfano come sponsor proprio del generale Adinolfi.

Qualcosa sta cambiando anche a Largo del Nazareno/Palazzo Chigi. Fucine da cui solitamente escono battute al fulmicotone per tutto e su tutto ma dove da ieri regna il silenzio. Per la prima volta il premier evita tweet e commenti e si lascia sfuggire sorrisi imbarazzati solo con i più stretti collaboratori, alla vigilia del debutto in aula della riforma delle intercettazioni. Delle battutacce su Enrico Letta non si parla. Meglio far cadere la questione. D'altronde che sarà mai? In effetti quelle intercettazioni mettono nero su bianco qualcosa che tutti già sapevano o almeno intuivano. Per il golden boy di Rignano sull'Arno il suo predecessore era «un incapace». Quelle parole registrate, però, fanno paura. E se i renziani si trincerano dietro un silenzio per loro affatto insolito, parlano gli altri, a iniziare dagli alleati. L'attenzione morbosa verso intercettazioni concernenti Renzi, prima ancora che si insediasse a Palazzo Chigi, commenta Fabrizio Cicchitto (Ncd), dimostra l'intento da parte di qualcuno di «aprire con tutti i mezzi una fase destabilizzante». Ovvio che chi oggi sta all'opposizione vorrebbe ben altra grancassa su quelle «parole in libertà» e sul ruolo «inedito» rivestito dall'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e dal figlio di questi, Giulio, che ieri hanno risposto al fango con due lettere sul Fatto . E proprio il figlio dell'ex presidente viene pizzicato per la sua replica indignata da Maurizio Gasparri (Fi): «Commuove la sua indignazione. Solo chi avesse vissuto per decenni in Papuasia, però, si potrebbe meravigliare per l'uso improprio e illegale delle intercettazioni». «Renzi riferisca e si voti la commissione di inchiesta sul 2011. Vogliamo la verità, non la veritweet » gli fa eco il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta, commentando proprio su Twitter le intercettazioni pubblicate dal Fatto relative alla caduta di Letta e all'arrivo di Renzi a Palazzo Chigi.

E il dibattito si sposta sull'utilità delle intercettazioni. Non andavano pubblicate, ripetono tutti all'unisono. Proprio perché irrilevanti sul piano penale. Poi, però, c'è chi può - sul tema - sfoggiare adamantina coerenza come l'ex Guardasigilli Roberto Castelli (Lega) e Luca D'Alessandro (Fi), che ripetono che «no e poi no, queste intercettazioni non andavano pubblicate». E c'è chi come Luciano Violante (Pd) frena sulle debolezze della legge sulle intercettazioni: «Una nuova norma non la invocherei per questo caso, bensì per quelli in cui si dà in pasto all'opinione pubblica la vita privata di parti del processo, o, peggio, la vita privata di persone estranee alle indagini».

Di segno diverso invece la posizione di Renato Schifani (Ncd). «È giunto il tempo che si approvi finalmente una normativa che, nel pieno rispetto del diritto di cronaca, eviti di trasformare la pubblicazione delle intercettazioni in un processo sommario».

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