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L'Altoforno 2 non dovrà essere spento. Ma il piano con Arcelor è tutto da fare

Il Tribunale del riesame di Taranto dà ragione ai commissari Fino a 14 mesi per completare l'opera di messa in sicurezza

L'Altoforno 2 non dovrà essere spento. Ma il piano con Arcelor è tutto da fare

Ventuno pagine e quasi un mese di tempo (che all'Ilva vuol dire 60 milioni persi) per ribaltare la decisione del giudice di primo grado, Francesco Maccagnano, e scongiurare lo stop definitivo «dell'afo 2»: l'ormai famoso altoforno dell'Ilva di Taranto. Sul filo del rasoio, ieri era l'ultimo giorno utile prima di uno spegnimento definitivo, il Tribunale del Riesame di Taranto ha concesso ai commissari straordinari la facoltà d'uso dell'impianto per un massimo di 14 mesi. L'ex Ilva «non deve scontare in questa sede il disastro ambientale per cui è imputato» in altri processi. Non solo: nell'altoforno 2 «a oggi i rischi trascorsi sono inesistenti», è scritto nelle motivazioni della sentenza che smontano quelle del giudice che aveva negato la nuova proroga ritenendo il rischio ancora troppo alto per gli operai. E sarebbe per ridurre al massimo i rischi per i lavoratori che il collegio ha precisato che concedere la proroga è quasi doveroso: «Trattasi di macchinari si legge infatti nel documento che, finendo per escludere la presenza umana nei luoghi ove trovò la morte Alessandro Morricella, porteranno (in concorso con tutte le altre prescrizioni già adempiute) all'ulteriore riduzione del rischio per i lavoratori dell'altoforno n.2, entro i limiti di legge».

«Una decisione che facilita - ha commentato ieri una fonte del Mef - la trattativa con Arcelor Mittal», ex cavaliere bianco pronto alla fuga. Ma in realtà il percorso è tutt'altro che in discesa. Ora, infatti, il governo dovrà trovare con Arcelor Mittal una linea industriale comune parlando concretamente di numeri (produttivi e occupazionali) e affrontare il durissimo scoglio sindacale. Secondo indiscrezioni «la trattativa prevederebbe qualcosa come 3mila esuberi», una condizione definita finora inaccettabile per le sigle sindacali tutte che hanno sempre ribadito la necessità di rispettare la promessa «esuberi zero» fatta più volte dal governo giallo-rosso.

E se lo stop allo spegnimento dell'Altoforno 2 ha evitato il rischio che l'attuale cassa integrazione ordinaria per 1.273 lavoratori potesse diventare cassa integrazione straordinaria per 3.500 addetti (questa era la mossa annunciata dalla multinazionale franco-indiana, poi congelata in attesa del verdetto), «è molto probabile - spiega una fonte vicina alla trattativa - che la cig tornerà protagonista dei prossimi tavoli tra le parti». Dopo il pre-accordo del 20 dicembre scorso, si deve trovare un'intesa entro il 31 gennaio. Poco più di venti giorni per mettere tutti d'accordo.

Al momento il piano prevede la nascita di una sorta di «Ilva pubblica», una newco che sarebbe il perno del «cantiere Taranto» più volte evocato dal governmo, e il cuore di quel green new deal annunciato nei mesi scorsi da Conte. Non una nazionalizzazione, dunque, ma un progetto di sistema che coinvolga altre controllate che operano nel settore (Snam per esempio) o società interessate a utilizzare il gas naturale al posto del carbone fossile. In campo anche la Cdp, probabilmente attraverso Invitalia. Al momento la partecipazione dello Stato si aggirerebbe poco sopra il 40%. Ma il governo avrebbe chiamato a raccolta anche i banchieri di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, in qualità di creditori in prededuzione (cioè con rimborso prioritario) per trasformare parte dei loro crediti in capitale per la newco.

La nuova società sarebbe orientata alla realizzazione dell'impianto del preridotto che dal 2023, nei piani del governo, consentirà di alimentare i due forni elettrici, affiancati dal rilancio dell'altoforno 5 e dall'Afo 4 per portare la produzione annua a 8 milioni di tonnellate.

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