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L'amarezza dell'ex ministro che tira la stoccata a Letta "Non ho tempo per le felpe"

Il leghista: "Ha ragione Palamara: io attaccato per forza. Chiameremo Conte, Di Maio, Toninelli"

L'amarezza dell'ex ministro che tira la stoccata a Letta "Non ho tempo per le felpe"

Matteo Salvini è sereno, anche se amareggiato. Forse quel rinvio a giudizio un po' se lo aspettava, in un'Italia in cui se sei un rappresentante di una Ong hai tutti i diritti del mondo. Se, invece, sei un ex ministro dell'Interno e anche il segretario della Lega vai incontro a processi politici perché, come diceva Palamara nelle famose chat: «Salvini ha ragione, ma va attaccato».

D'altronde, la storia si ripete e quello che un tempo fu fatto a Silvio Berlusconi, con una persecuzione politico-giudiziaria che è rimasta nella storia, ora tocca all'ex vicepremier. «È stata una battaglia politica - ha detto Salvini - sostenuta da alcuni partiti politici».

E tutta la delusione l'ex titolare del Viminale la riversa nel suo primo messaggio, fatto a caldo sui social dopo la sentenza: «Rinviato a giudizio. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Articolo 52 della Costituzione. Vado a processo per questo, per aver difeso il mio Paese? Ci vado a testa alta, anche a nome vostro. Prima l'Italia. Sempre». Ma vallo a spiegare ai giudici e agli avversari politici, che pure stanno con te al governo, ma che si fanno fotografare, a due giorni dall'udienza, con in dosso la felpa di Open Arms insieme al fondatore della Ong spagnola Oscar Camps. Un chiaro segnale che indica da che parte sta il Partito democratico.

Poco dopo Salvini posta un altro messaggio: «Le telefonate più difficili dopo il processo di oggi, quelle ai miei figli. Sorriso e testa alta ragazzi, chi ha la coscienza pulita e ha fatto il suo dovere, non può avere paura». Nel post lo screenshot della videochiamata con la figlia Mirta. I fedelissimi raccontano: «Ha chiamato subito i figli e ha fatto parlare Federico, che ha compiuto 18 anni da pochi giorni, con la Bongiorno per rassicurarlo».

Ieri mattina in realtà era fiducioso, ci aveva quasi sperato. Aveva pubblicato una foto insieme all'ex ministro della Giustizia e suo legale sulla spiaggia del capoluogo siciliano. «Buon sabato da Palermo, amici - aveva scritto -. Con Giulia Bongiorno, pronto all'udienza in tribunale, accusato di sequestro di persona. Grazie per tutti i messaggi che mi avete inviato, la vostra vicinanza vuol dire molto, vi voglio bene».

Poi nel pomeriggio la mazzata. Il segretario del Carroccio ha tenuto comunque a difendersi: «Cristianamente sopporto, ma passare per sequestratore, proprio no». Una cosa è certa, questo rinvio a giudizio renderà Salvini un martire. «Gli italiani - ha detto ancora - vedranno chi fa giustizia alla Palamara. Mi chiedo questo processo politico quanto costerà alla gente».

Poi la stoccata a Letta: «Sono in un governo di unità nazionale, non ho tempo per le felpe come Letta. Sto lavorando su quello che Mattarella ci ha chiesto di fare».

Quindi ha rilanciato: «Sul banco degli imputati dovrebbe esserci chi mette a rischio la vita delle persone». L'assurdità è che a distanza di pochi giorni le decisioni dei tribunali di Catania, che si è espresso con il non luogo a procedere per il caso Gregoretti e quello di Palermo, che lo ha rinviato a giudizio, sono agli antipodi, malgrado siano in qualche modo relazionati. Ecco perché Salvini parla di «processo politico».

Spiegando che «l'aveva già detto Palamara: Salvini ha ragione, ma bisogna fermarlo. Mi auguro - ha proseguito - che a settembre verrò giudicato da magistrati indipendenti. Per certi versi sono contento perché a processo emergeranno tutti i comportamenti e verrà chiarita la verità».

Intanto, la Bongiorno rende noto: «Chiameremo sicuramente il presidente Conte, ma anche Toninelli che è stato uno dei grandi protagonisti, e poi Di Maio. Inutile negare che c'è una valutazione politica della questione». Resta granitico un fatto.

Salvini ha rafforzato in sé una convinzione che è comune alla maggior parte degli italiani: «Serve una seria riforma della giustizia».

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