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L'amarezza di Giletti minacciato dai boss: "Nessuno dal ministero mi ha mai avvisato"

Mafiosi intercettati in cella a maggio. Solo ieri la telefonata di Bonafede

L'amarezza di Giletti minacciato dai boss: "Nessuno dal ministero mi ha mai avvisato"

«Giletti e Di Matteo stanno scassando la minchia». Nel cortile del carcere dell'Aquila, lo scorso 11 maggio, il boss del quartiere Brancaccio di Palermo Filippo Graviano dice ad alta voce quello che pensa dopo aver visto, la sera prima, la puntata di Non è l'Arena dedicata al decreto scarcerazioni. Il suo interlocutore è Maurizio Barillari, boss della ndrangheta di Corigliano, i due si lamentano della posizione del giornalista e del pm e «lodano» il Guardasigilli Alfonso Bonafede, che «fa il suo lavoro» mentre quei due «rompono i c». Ad ascoltare la conversazione non ci sono solo gli altri detenuti, ma anche gli uomini del Gom. Che prendono nota della chiacchierata e mettono tutto nero su bianco in una relazione poi spedita in via Arenula. Però nessuno si prende la briga di avvisare Giletti, e tantomeno Di Matteo, anche se il giornalista continua nella sua trasmissione a martellare sulla questione dei detenuti al 41 bis o in Alta sicurezza spediti ai domiciliari per l'emergenza Coronavirus. Solo più di due mesi dopo, ieri, Giletti ha saputo di essere stato minacciato, e l'ha scoperto leggendo su Repubblica la recensione di «U siccu», il libro su Messina Denaro del vice direttore dell'Espresso, Lirio Abbate. Possibile che quella relazione sia finita da qualche scrivania di via Arenula direttamente in un libro, senza che nessuno avvertisse Giletti? Che pure, in questi mesi, ha dato del filo da torcere ai piani alti del ministero della Giustizia. E per dire la sua sulla questione della mancata nomina di Di Matteo al Dap, Bonafede ha pure chiamato il conduttore in diretta, una settimana dopo che quelle frasi di Graviano erano già state intercettate, il 18 maggio.

Ce ne sarebbe abbastanza per farsi qualche domanda, ma Giletti fa il pompiere. «Oggi pomeriggio - racconta mi ha telefonato il ministro, mi ha fatto molto piacere che l'abbia fatto, anche visti i trascorsi poco idilliaci, perché di certo episodi come questo esulano dagli scontri e dalle polemiche», racconta il conduttore di Non è l'Arena. Che incassa con classe la telefonata (tardiva) e però ammette: «Certo, al di là di Bonafede, ritengo che qualcuno dei suoi al ministero, chi aveva quelle carte del Gom sulla scrivania, avrebbe dovuto avvisarmi. Non l'ha fatto, e questo mi è dispiaciuto». Il resto, aggiunge il giornalista evitando di alimentare polemiche, fa parte dei «rischi del mestiere». E chissà se tra quei rischi c'è anche il mancato allarme sulle minacce ricevute da un boss, omissione che sarà un caso - viene sanata solo a bocce ferme, quando Giletti e le sue puntate dedicate ai pasticci di via Arenula sono andate in vacanza da qualche settimana.

Sembrerebbe che anche il pm Nino Di Matteo non sia stato avvertito, forse perché già «abituato» alle minacce, forse perché già sotto scorta.

Non è chiaro, insomma ma forse il Guardasigilli lo spiegherà, ora che la questione è deflagrata che cosa sia stato fatto di quella relazione, se è stato avvertito degli obiettivi delle minacce il prefetto di Roma, per esempio, o se dobbiamo solo al libro di Abbate che il retroscena sia venuto alla luce.

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