Dario Fo è entrato ieri a far parte della sezione «Italiani della Repubblica» dell'enciclopedia Treccani. L'Istituto ha inserito la biografia del premio Nobel, morto il 13 ottobre 2016, nell'apposita sezione del suo portale (www.treccani.it) in compagnia di altri grandi. Benissimo. Il portale ha lo scopo di integrare il Dizionario Biografico degli italiani con coloro che non sono stati biografati perché viventi al momento della redazione del primo volume del medesimo.
Qualche perplessità però la biografia di Fo può destarla, almeno su un punto: le esperienze di un giovanissimo Fo (nato il 24 marzo del 1926) sul finire della Seconda guerra mondiale. Così nella voce Treccani: «Scoppiata la seconda guerra mondiale, e verso la fine del conflitto, pur renitente alla leva, si arruolò nel 1944 tra i paracadutisti, presentandosi al comando dell'Artiglieria contraerea di Varese, per evitare la deportazione in Germania e per coprire il padre, responsabile del Comitato di liberazione nazionale (CLN) per l'Alto Verbano. Ben presto, appena gli si prospettò l'opportunità, disertò». Certo quei pochi mesi nella vita di un artista non possono essere la questione dirimente. Però il racconto appare reticente. Al lettore inesperto, può non risultare chiarissimo che Fo si arruolò volontario nell'esercito della Rsi, in un reparto che eseguì svariati rastrellamenti. E può anche risultare non chiaro che anni dopo il principale comandante partigiano della zona, Giacinto Domenico Lazzarini, abbia messo in chiaro che i rapporti di Fo e suo padre con la Resistenza erano quanto meno dubbi. Così Lazzarini intervistato, nel 1978: «Le dichiarazioni di Dario Fo destano in me non poca meraviglia. Dice che la casa di suo padre era a Porto Valtravaglia, era un centro di resistenza. Strano. Avrei dovuto per lo meno saperlo. Poi dice che era d'accordo con Albertoli per raggiungere la mia formazione. Io avevo in formazione due Albertoli, due cugini, Giampiero e Giacomo. Caddero entrambi eroicamente alla Gera di Voldomino... Forse Fo potrà spiegare come faceva ad essere d'accordo con uno dei due Albertoli di lasciare Tradate nel gennaio 1945, quando erano entrambi caduti quattro mesi prima».
Non si tratta di dare un giudizio morale su un giovanissimo - lungi da noi - ma di capire se una situazione complessa, e di cui Fo ha parlato poco volentieri, possa essere ridotta a una narrazione così striminzita come quella della Treccani. Ne abbiamo parlato con il curatore della voce, il professore Paolo Puppa. Ci ha detto: «Si è trattato di un episodio di pochi mesi, relativo ad un ragazzo giovanissimo, non credo che abbia segnato in alcun modo l'esperienza artistica di Fo...». Sarà, ma Fo dal 1975 ha querelato tutti i giornalisti, a partire da Giancarlo Vigorelli, che hanno ficcato il naso in queste vicende e ha dovuto ammettere i fatti solo quando nei processi è risultato evidente il suo ruolo. A questo Puppa, che pur non sembra essere un cultore acritico del comico, risponde: «Fo querelò solo perché in quegli anni era per lui politicamente imbarazzante. Era un uomo di grande freschezza o superficialità dipende da come la si guarda. Non credo abbia mai provato senso di colpa per quegli anni; era per certi versi, nella sua genialità, anaffettivo e bravo ad autogiustificarsi. Quindi ribadisco: fu solo un episodio».
Avrà ragione Puppa, però, una voce biografica Treccani serve anche a chi di un personaggio non sa nulla. E serve anche a raccontare il clima in cui si è mosso ed è vissuto.
L'impressione che ci sia un buco narrativo, resta. E un buco non sgradito a chi ama santificare Fo. Tanto più che, se andate in rete, vi accorgerete che la tanto vituperata Wikipedia fornisce su Fo e l'Rsi un racconto molto più completo e documentato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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