L'amore non va in galera anche se è solo una truffa

Il tribunale di Milano sdogana le bugie sentimentali a scopo economico: «È difficile dimostrare l'imbroglio»

L'amore non va in galera anche se è solo una truffa

MilanoVia libera dunque alla bugia più detta del mondo, alla promessa di eterno amore cui da sempre crede solo chi ci vuole credere. Ingannare il partner, giurandogli coccole e dolci risvegli, passione e sentimento, e sostegno reciproco nella vecchiaia, e sgonfiargli il conto corrente: tutto ciò è disdicevole, forse abietto, ma non contrasta con il codice penale. Imbrogliate, dissipate, e infine sparite con un altro: ne risponderete forse davanti alla vostra coscienza, ma non alla giustizia.

È un giudice del tribunale di Milano a sdoganare comportamenti vecchi di migliaia di anni. «La truffa, per così dire, “sentimentale” è astrattamente concepibile ma in concreto difficilmente ravvisabile», scrive il giudice Ilio Mannucci. «Il semplice mentire sui propri sentimenti (la nuda menzogna) non integra una condotta tipica di truffa»: neanche se alla fine, il partner deluso si ritrova col portafoglio alleggerito. Perché per essere davanti a un delitto, sarebbe necessario che fin dall'inizio, callidamente, il bugiardo avesse pianificato l'imbroglio, spacciando se stesso e i propri sentimenti per ciò che non erano. Ma come si può dimostrarlo? L'amore, si sa, viene e va. E ciò che alla fine si risolve in carte bollate («parole d'amore scritte a macchina», direbbe Paolo Conte) forse all'inizio era sentimento vero. Va a dimostrare il contrario.

L'infelice storia d'amore sboccia a Milano, tra le corsie dell'ospedale San Raffaele: infermiere lui, infermiera lei. Lavoro duro, corsia, turni di notte, che da sempre favorisce legami più o meno fugaci. Fin da subito, lui inizia a bussare a quattrini, e lei abbocca: prima 1.500 euro «perchè devo pagare le tasse, sono nei guai»; poi diecimila per aprire un fantomatico business in Perù, e poi ancora i soldi per il viaggio in Sudamerica, altri soldi per altri aiuti. Alla fine, più di sedicimila euro. Come spesso accade, man mano che aumentano i soldi scuciti, si affievolisce il trasporto. Lui si fa una nuova fidanzata. E quando la collega gli chiede di rendergli, se non l'amore, almeno gli euro, le risponde come un cattivo da feuilleton : «Te li sbatto sulla faccia».

Lei, finalmente, si arrende alla dura realtà, e va dall'avvocato. Parte la denuncia alla Procura, l'infermiere fedifrago viene indagato per truffa, e spedito a processo con rito immediato. E qui il processo deve farsi largo nei meandri dei sentimenti e della morale. Per condannare l'infermiere, «occorrerebbe provare che l'imputato intraprese la relazione con la donna con lo specifico intento di creare in capo a quest'ultima la falsa apparenza di un rapporto sentimentale all'interno del quale la stessa avrebbe facilmente accolto la richiesta di un prestito di denaro»: ma come dimostrarlo? E la sentenza assolve l'infermiere. Avvertenza: vale anche in caso contrario, ovvero se a ingannare l'amante è la donna. «Si pensi al caso di un nobile e ricco erede che intraprenda una relazione con una giovane e bellissima donna, ricoprendola di doni e spendendo a suo favore ingenti capitali.

In tal caso – anche qualora si raggiunga la prova che la donna, fin dall'inizio, non provava alcun sentimento nei confronti dell'uomo e fraudolentemente lo illuse del contrario all'unico scopo di ottenere benefici economici – non potrà dirsi integrato il delitto di truffa finché permanga il ragionevole dubbio che la presunta vittima, essendo ben lieto di accompagnarsi all'avvenente ragazza, anche sapendo della reale intenzione della stessa, si sarebbe comportato allo stesso modo».

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