l'analisi

diFuga da Roma, fuga da Marino, fuga dall'odore della città eterna. Si contano le ore che mancano al Giubileo d'inverno e la sensazione è di stare su un battello che va ostinatamente alla deriva. Chi può scappa e nuota fino alla sponda più vicina. Altri sono stati buttati in acqua. La domanda a questo punto è: chi governa a Roma? Marino. Appunto. È rimasto solo lui, lasciato lì sotto il sole a indicare una terra promessa, un approdo, gridando ogni giorno: fidatevi di me. Il guaio è che più lui declama, si agita, arrostisce meno appare affidabile. Tutti si mettono le mani nei capelli e sperano nell'intervento di Dio, o perlomeno (perfino) del Vaticano.

Ecco il governo di Roma oggi. Non c'è più il segretario generale del Campidoglio. Liborio Iudicello è fuori. Era il capo della burocrazia. Amico di Matteo. A Firenze con Renzi quando il rottamatore era presidente della Provincia. Portato a Roma da Alemanno e deposto dal prefetto Gabrielli. Non è il solo a saltare. Salta pure il direttore generale. Stanno per saltare, non si sa ancora bene quando, due assessori e il vice sindaco. E ancora: tre municipi da commissariare, tre dipartimenti da disinfestare, ventuno dirigenti da rimuovere. Roma produce un deficit di 100 milioni al mese. È un mostro statalista difficile da domare: 25mila dipendenti alle dirette dipendenze e più di 31mila nelle società «municipalizzate», 26 in tutto con almeno 50 controllate, tra cui spiccano tre veri big del settore, come Acea (energia e acqua), Ama (rifiuti) e Atac (trasporti). È una azienda burocratica «troppo grande per fallire». In realtà è già morta e nessuno sa dove buttare il cadavere.

È questo il vero dramma. Renzi voleva sbarazzarsene, ma nessuno si è sporcato le mani. Neppure, e soprattutto, il compagno di joypad Orfini. Qualcuno sperava che Ignazio facesse un passo indietro, nell'acqua. Niente da fare. Il prefetto Gabrielli ha cercato con la sua relazione di salvare capra e cavoli. Ha fatto capire che Roma va di fatto commissariata ma che politicamente non è il caso di sciogliere la giunta. Non si può mettere il marchio mafia sul Colosseo. La scelta finale adesso spetta ad Alfano che non ha certo il coraggio politico per fare pollice verso. Il risultato è che Marino sta lì e lo sforzo di tutti è cercare di tenerlo fuori dalla gestione del Giubileo. La grande idea al momento è questa: magari inciampa e si dimette, ma se intanto lo lasciamo solo a straparlare sulla zattera troppi danni non farà.E invece Ignazio sta già pensando alla fase 2 (che già a nominarla evoca fallimenti). Bisogna rifare Roma. Serve un rimpasto amministrativo e un rimpasto politico nella giunta. Il primo passo è nominare un nuovo capo della burocrazia. Il nome che si fa è quello di Serafina Buarnè. È l'attuale responsabile dell'anti corruzione in Comune. È palermitana e ha lavorato in diversi comuni siciliani che erano stati sciolti per mafia.

È arrivata a Roma per volere dell'assessore magistrato Alfonso Sabella. E qui si capisce il nodo della questione Roma. Marino sta lì solo perché non si è ancora capito chi deve commissariarlo: i professionisti dell'antimafia, il prefetto o il Pd. Nel frattempo si naviga a vista.

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