Magistratura

L'Anm fa politica: "Premierato? Riforma sbagliata"

Il presidente Santalucia: "Indebolisce il Colle e l'autonomia delle toghe, ma lo dico a titolo personale"

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«C'è uno sbilanciamento e uno squilibrio a favore del potere esecutivo e non è ciò di cui ha bisogno oggi il nostro Paese. La riforma del premierato depotenzia il Colle, indebolisce il Csm e di conseguenza l'indipendenza della magistratura». L'iperbolica sentenza del presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia (nella foto), che chiama alle armi la magistratura contro l'esecutivo, era nell'aria. Sbaglia chi pensava che le toghe rosse, sebbene in disarmo e in crisi di consensi, almeno stavolta si sarebbero chiamate fuori dal dibattito sulla riforma che ha in mente il premier Giorgia Meloni, che non tocca le prerogative dei magistrati. D'altronde, anche per la riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi e miseramente fallita al referendum le toghe di sinistra si schierarono per il No.

Consapevole del rischio di gettare nella mischia l'Associazione nazionale magistrati, Santalucia precisa al quotidiano online Affaritaliani.it di parlare a titolo personale («Premetto che l'Anm non ha ancora avviato una discussione interna sulla proposta di modifica»), ma è una scusa che non regge, così come sembra debole la concatenazione di eventi rispetto alle prerogative del Colle sull'organo di autogoverno della magistratura, che restano immutate. «C'è l'esigenza di potenziare e rafforzare gli organi di garanzia, non il governo», è l'autorevole opinione di Santalucia.

Se non è l'ennesima invasione di campo, poco ci manca. Quando nel dicembre del 2016 l'allora premier Renzi sottopose la sua riforma costituzionale al vaglio referendario, le correnti più di sinistra si schierarono compatte: «È un no alla riforma, non a Renzi», fu il bizantinismo scelto dall'allora leader di Md Carlo De Chiara per sbarrare la strada al provvedimento: «Ha sbagliato il presidente del Consiglio a mettere in gioco il governo, la Costituzione è al di sopra delle vicende politiche contingenti». Magistratura democratica aveva anche accarezzato l'idea di coinvolgere l'Anm nel comitato per il No: «Sarebbe legittimo ma non lo chiediamo», chiese allora il magistrato di Cassazione da presidente nazionale di Md.

Peggio fece il consigliere del Csm Piergiorgio Morosini, che al Foglio si fece sfuggire frasi bellicose, salvo poi smentire (quasi) tutto, dicendo di essere stato travisato: «Bisogna guardarsi bene dal rischio di una democrazia autoritaria. Un rapporto equilibrato tra Parlamento e organi di garanzia va preservato. Per questo occorre votare No», l'affermazione dell'ex gip di Palermo pronto a girare in tour per fermare Renzi» prima di «tornare in trincea», ovvero a fare il magistrato. «Mai detto che Renzi va fermato», fu la replica di Morosini, nel tentativo di disinnescare lo scontro che ormai era sulla scrivania del capo dello Stato Sergio Mattarella, tirato per la giacchetta dal Guardasigilli Andrea Orlando e dall'allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. «Era un regolamento di conti a sinistra», sottolinea un ex consigliere Csm, che quei giorni incandescenti li ricorda bene. Oggi che la sinistra non dà più le carte né a Palazzo Chigi né a Palazzo de' Marescialli, con una riforma della giustizia in ballo e una credibilità della magistratura da ricostruire, il clima rischia di essere ancora più infuocato.

La Meloni è avvisata.

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