Coronavirus

L'app Immuni smaschera il bluff Pisano: il ministero inutile voluto da Casaleggio

La ministra dell'Innovazione dispone di un ufficio studi di 16 esperti e varie agenzie. Ma l'applicazione anti-contagio l'hanno fatta i privati

L'app Immuni smaschera il bluff Pisano: il ministero inutile voluto da Casaleggio

Si chiama Immuni ed è l'app che dovrà proteggerci dai contagi. L'ha progettata una start-up milanese ed è stata già offerta gratuitamente allo Stato. Se saremo capaci di arginare l'epidemia lo dovremo anche alla Bending Spoons, sviluppatrice del software che traccia gli individui con cui un malato è entrato in contatto. È sicuramente un'eccellenza, ma non è pubblica. In Italia, dove è servito Vittorio Colao per spiegare che l'autocertificazione cartacea si poteva sostituire con una digitale, c'è un ministero per l'Innovazione tecnologica che ha più sezioni della Nasa, più cervelli del Pentagono, più ingegneri della Apple. Stando alle cifre siamo di fronte al più grande assembramento di intelligenze della nazione. Lo guida la ministra Paola Pisano che il M5s ha spostato da Torino, dove ricopriva la carica di assessore per l'Innovazione, a Roma dove produce dossier, costituisce task force, ma soprattutto ringrazia con solennità Davide Casaleggio per i suoi preziosi consigli.

Uscita dall'anonimato grazie al report «2025, Strategia per l'innovazione tecnologica», documento che aveva come consulente Casaleggio imprenditore, questo ministro da pochi giorni si è superata chiamando intorno a sé 75 esperti che finora hanno solamente dato parere positivo all'app Immuni. Fanno parte di questo ministero foresta che ha stipulato ben 16 nuovi contratti con sedici esperti, un «centro studi» da un milione di euro e che, a dirla tutta, si sovrappone ad altre agenzie che hanno (a parole) la missione di innovare. Con l'altisonante carica di chief tecnology officer è stato reclutato Paolo De Rosa. La retribuzione? 130mila euro. La nomina è recentissima e risale a fine gennaio. Come recente è quella di Guido Scorza, consigliere affari giuridici sempre nell'ambito del dipartimento della trasformazione digitale. Una consulenza da 110mila euro per uno studioso degno di nota (in realtà il file del suo cv è formattato come lo formatterebbe un principiante). Tra le esperienze, Scorza indica le collaborazioni con le testate L'Espresso e Il Fatto Quotidiano. Come detto, questi sedici scienziati del futuro hanno cariche in inglese che fanno tanto esperto. Francesco Mario Zaia è stato chiamato in qualità di «service owner» a 85mila euro mentre Sebastian Alessandro, «software engineer», a 75mila euro. Percepisce meno di Luca Prete che è «productor engineer» e che guadagnerà 90mila euro. Dato che anche gli ingegneri hanno bisogno di comunicare, si è pensato bene di chiamarne uno che lo faceva già per Tommaso Nannicini, consigliere economico di Matteo Renzi e oggi senatore del Pd. Si tratta di Ludovico Poggi (75mila euro). Più misterioso è invece l'incarico di Erika Miglietta (90mila euro) con la vaga funzione «assistente tecnico e coordinatore delle attività». Sarebbe troppo lunga la lista, ma si fa uno sforzo per il «technical project manager» Dario Malerba che non è altro che lo stesso Malerba componente di staff della Pisano, assessore a Torino. Ottantamila euro vale la sua consulenza e nel cv rivela di «considerarsi una persona proattiva e socievole».

E però, l'errore sarebbe credere che a occuparsi di digitale ci sia solo questo ministero. Ad affiancarlo c'è l'Agid (Agenzia per l'Italia digitale) che da poco ha un nuovo direttore generale. È Francesco Paorici (215mila euro annui) chiamato a dirigere una struttura che dagli ultimi conti dichiara avere 92 esperti a tempo indeterminato e le cui retribuzioni totali sono pesate per oltre cinque milioni di euro nel 2018, ultimo dato registrato.

Ma esiste perfino un'altra appendice. Nel 2016, Renzi aveva chiamato Diego Piacentini come commissario per trasformare l'Italia in un Paese digitale. La struttura che ha guidato ha operato fino al 2018 e i progetti sono confluiti in un'altra piattaforma che si occupa di pagamenti digitali per la pubblica amministrazione. È PagoPa e dallo scorso luglio ha naturalmente anche un amministratore unico (Giuseppe Virgone, 120mila euro annui). Non chiamatelo ministero.

È un elefante di esperti la cui mossa più geniale è stata (e per fortuna) consegnarsi ad altri italiani brillanti.

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