A prima vista potrebbe sembrare un ordinario incidente parlamentare, in verità rischia di essere molto di più. Non solo perché la minoranza del Pd colpisce Matteo Renzi su un tema chiave come le riforme istituzionali, tanto da mandare sotto il governo nella commissione Affari costituzionali della Camera. Ma soprattutto perché sceglie di alzare il livello dello scontro con il premier proprio nel suo maggior momento di debolezza da quando, poco meno di dieci mesi fa, si è insediato a Palazzo Chigi. Ad agitare i sonni del leader del Pd, dunque, non ci sono solo gli «esami di riparazione» di marzo imposti da Bruxelles o le critiche di Angela Merkel e le minacce del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker, ma pure una fronda interna che non si preoccupa degli eventuali contraccolpi di un dissenso tanto eclatante. Di più. L'impressione, infatti, è che l'opposizione interna al Pd sia così agguerrita dal voler colpire Renzi esattamente adesso, cercando di spuntare le «armi» che fino ad oggi ha usato per difendersi dagli affondi di Ue e Germania. Non è un caso che ieri, durante il vertice a Palazzo Chigi sulla legge di Stabilità, il premier manifestasse un certo nervosismo e molta insofferenza. Perché se fino ad oggi aveva potuto replicare alle obiezioni della Merkel o di Juncker che il governo italiano sta facendo comunque le riforme a partire dallo Sblocca Italia al Jobs Act, da ieri la risposta di Bruxelles e di Berlino può essere che Renzi a malapena controlla i suoi parlamentari.
Il premier lo sa bene, tanto che nei suoi colloqui privati il ministro Maria Elena Boschi è arrivata a ipotizzare la sostituzione dei membri Pd della commissione Affari costituzionali. Avvenne già lo scorso giugno al Senato, con Corradino Mineo. E tanto fu allora il can can per un senatore che rimpiazzare oggi ben nove deputati (tanti sono quelli che ieri in Commissione hanno votato insieme a Sel, M5S e all'azzurro Bianconi) appare piuttosto improbabile.
Mai come adesso, insomma, Renzi è sotto accerchiamento. Un vero e proprio assedio che parte dall'Ue per finire con la fronda interna al Pd.
Che pare davvero pronta a tutto, anche alla spallata se dopo il fuoco amico di Gianni Cuperlo, Rosy Bindi e Nicola D'Attore in commissione, Pippo Civati non esita ad attaccare il premier che, dice, proprio «oggi è in carica da 291 giorni». Tanto durò il governo del suo predecessore Enrico Letta. Che esattamente al giorno 291 fu costretto da Renzi alle dimissioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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