l'appunto

Seppure con la sordina della tragedia francese, continuano le manovre di avvicinamento alle dimissioni di Giorgio Napolitano e, dunque, alla convocazione del Parlamento in seduta comune per l'elezione del suo successore. Il timing presidenziale è infatti rimasto invariato, con la formalizzazione dell'addio al Quirinale atteso per la sera di mercoledì prossimo. Esattamente due settimane dopo - il 29 gennaio - le Camere si riuniranno per la prima votazione. E finalmente si inizierà a capire davvero che aria tira intorno a quella che - per un verso o per un altro - sarà la partita chiave della legislatura. Destinata ad andare avanti se si arriverà a convergere su un nome entro la quarta votazione (le prime tre richiedono la maggioranza qualificata), pronta invece a sbattere sulle elezioni anticipate nel caso si finisse in una impasse come nel 2013.

La marcia di queste ore verso il D-Day del Colle continua intanto a registrare una certa agitazione, sia tra la minoranza del Pd che in quella di Forza Italia. Un segnale non troppo tranquillizzante per i protagonisti del patto del Nazareno, soprattutto se l'obiettivo è quello di allargarlo alla partita per il Quirinale. Anche perché tanti, forse troppi sono i fronti sui quali le opposizioni interne potrebbero saldarsi: dalla delega fiscale alle riforme istituzionali passando per il voto sull'Italicum al Senato (dove i numeri sono più risicati). E proprio sulla nuova legge elettorale ieri è arrivato l'emendamento dei bersaniani (sono 38 i senatori dem che lo hanno sottoscritto, primo tra loro Miguel Gotor) che propone di eliminare i capilista bloccati. Una soluzione, questa, che non piace né a Matteo Renzi né a Silvio Berlusconi. Ma su cui potrebbe convergere la minoranza interna a Forza Italia che fa capo a Raffaele Fitto. Una certa tensione fra gli azzurri si è registrata già giovedì, quando alla Camera sul ddl riforme istituzionali in ben 22 hanno votato in dissenso dal gruppo. Certo, non erano tutti fittiani - tra loro, per esempio, anche Mara Carfagna e Michaela Biancofiore - ma il segnale non è stato rassicurante. Fitto, per altro, non è affatto contento della piega che ha preso la partita delle regionali, visto che sarà il partito a indicare il candidato governatore della Puglia e non le primarie.

I toni polemici con cui il fittiano Nino Marmo ha ritirato la sua candidatura puntando il dito contro «le stanze del potere di Roma» sono eloquenti. Come pure l'intenzione di Fitto di non abbassare i toni nei prossimi giorni.

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