Rompe il silenzio solo a tarda sera Matteo Renzi, dopo aver taciuto durante tutta la fase più concitata. Come sempre accade quando è alle prese con qualche grana, piccola o grande che sia, il premier preferisce infatti veicolare la sua versione attraverso gli uomini più fidati piuttosto che mettere la faccia su una sconfitta. Così, al netto di una battuta affidata a l'Unità in edicola oggi («Marino ha fatto bene a dimettersi», risponde alla lettera di un lettore), dopo due giorni di silenzio è il suo entourage a riferire di un'improbabile soddisfazione di Renzi per aver «chiuso la pratica in sole 24 ore». Oltre ad assicurare che il premier sarebbe piuttosto infastidito verso Matteo Orfini, considerato il principaleresponsabile della débâcle romana. È lui il commissario straordinario del Pd a Roma e - raccontano le cronache renziane - sempre lui ha perseverato nel sostenere Marino anche quando era ormai indifendibile. «Hai fallito su tutta la linea», gli avrebbe rinfacciato il premier sia giovedì sera al telefono che ieri in un lungo faccia a faccia. Fin qui lo storytelling di Palazzo Chigi, per certi versi affascinante per altri un po' stravagante. Non tanto perché Renzi e Orfini ce li ricordiamo ancora a braccetto, immortalati davanti alla Playstation intenti a giocare a Pro Evolution Soccer mentre attendono i risultati delle regionali. Era lo scorso giugno e, salvo qualche screzio, non pareva che il rapporto tra i due si fosse particolarmente deteriorato.
Soprattutto, sembra piuttosto improbabile che un decisionista come il premier abbia scelto di farsi dettare la linea da Orfini. Più che improbabile, inconcepibile.
E infatti la verità è che Renzi, pur non amando affatto Marino, puntava a tenerlo in vita fino al 24 febbraio, così da far slittare le prossime elezioni a Roma a dopo l'estate 2016. Dimettendosi prima, invece, per il Campidoglio si voterà in primavera, nella tornata amministrativa che già coinvolge Milano, Napoli, Torino e Bologna. Con la concreta possibilità che il premier perda sia nella capitale che nel capoluogo lombardo. Per il governo sarebbe un colpo durissimo, soprattutto se si dovesse aggiungere un'altra sconfitta a Napoli.
Al di là della versione di comodo, dunque, la scelta di temporeggiare su Roma è stata sì di Orfini (che guida il partito nella capitale e ha dalla sua i consiglieri dem in Campidoglio), ma anche di Renzi: il primo sperava di posticipare il voto e avere più tempo per riorganizzare il Pd romano dopo l'inchiesta Mafia capitale, il secondo puntava ad evitare di concentrare sulla prossima primavera un appuntamento elettorale che adesso rischia di essere decisivo.
La tornata amministrativa, insomma, diventa il passaggio chiave della legislatura. Con Renzi che si deve confrontare con la sua prima grande sconfitta politica.
Oltre che con il rischio di ritrovarsi un Pd indebolito sia dalle dimissioni di Marino che dalle frizioni interne tra segretario (Renzi) e presidente (Orfini). Un Pd che è tutt'altro che pacificato e dove un clima di tensione potrebbe riaccendere anche la miccia della minoranza dem che sulle riforme sembrava essersi placata.
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