L'arma di Delrio: Guardia Costiera come taxi dei volontari

L'indirizzo politico dettato dal titolare dei Trasporti: lavorate a fianco delle organizzazioni

L'arma di Delrio: Guardia Costiera come taxi dei volontari

L'«arma» per aiutare le Ong ed ostacolare la linea dura del Viminale sull'emergenza migranti è la Guardia costiera. Sembra un paradosso, ma i 600 mezzi navali dispiegati in 100 porti, con compito anche di soccorso in mare dipendono dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di Graziano Delrio. L'ex sindaco di Reggio Emilia ha ingaggiato un braccio di ferro con il ministro dell'Interno, Marco Minniti, sul caso Ong e migranti, che rischiava di far saltare il governo. Il problema è che Delrio è da tempo pro Ong talebane dell'accoglienza e ha indirizzato la Guardia costiera in tal senso. «La scelta ufficialmente è del Comando generale di inviare le nostre unità navali sempre più avanti verso la Libia e di lavorare al fianco delle Ong. La benedizione politica è del ministro Delrio» spiega una fonte del Giornale all'interno della Guardia costiera. Delrio ha sempre coccolato il corpo, che formalmente fa parte della Marina militare, come formazione specialistica. «Gli stipendi, però, vengono pagati dal ministero dei Trasporti ed il budget arriva anche da altri dicasteri, non dalla Difesa» sottolinea la fonte. Non a caso la Marina ha sempre mal digerito l'autonomia della Guardia costiera. Il risultato dell'indirizzo politico dettato da Delrio ha provocato una specie di «alleanza» con la flotta delle Ong, che di fatto favorisce l'arrivo di numeri sempre più ingenti di migranti.

Il casus belli si è verificato due giorni fa quando la nave di Medici senza frontiere ha trasbordato un carico di migranti a bordo di un'unità della Guardia costiera facendo irritare il Viminale. Msf non vuole firmare il codice di condotta per le Ong del ministero dell'Interno e Delrio ha più volte rilasciato dichiarazioni pubbliche contro il pugno di ferro e la chiusura dei porti alle Organizzazioni umanitarie ribelli.

La linea da «quinta colonna» pro immigrazione dettata dal ministro era chiara fin dalle audizioni parlamentari in primavera. Il comandante della Guardia costiera, ammiraglio Vincenzo Melone, ha sempre rivendicato il controllo della flotta delle Ong nel recuperare i migranti. E ha spiegato in Commissione Difesa che le operazioni di soccorso dei barconi si sono estese «dai 500mila chilometri quadrati di competenza italiana ad un milione e centomila, praticamente metà del Mediterraneo». L'alto ufficiale ha ribadito che «che le unità navali a nostra disposizione non ce la fanno e dunque dobbiamo chiamare a raccolta chiunque navighi in vicinanza di un evento Sar (ricerca e soccorso), mercantili e navi delle Ong».

In realtà lo stesso rapporto annuale della Guardia costiera dimostra che sono state soprattutto le Ong ad intervenire con l'aumento del 52% dei soccorsi nel 2016 rispetto all'anno prima. I grafici delle rotte e posizioni contenuti nel rapporto dimostrano come le navi umanitarie si sono progressivamente spinte verso la Libia sapendo bene che alle spalle avevano le unità della Guardia costiera in supporto per la staffetta dei migranti da sbarcare in Italia. Gran parte delle operazioni di recupero avvengono in stretto coordinamento con il Centro nazionale di soccorso di Roma (Imrcc) della Guardia costiera. Non a caso l'ammiraglio Melone ha sempre difeso a spada tratta le Ong seguendo la linea di Delrio e ribadendo che non costituiscono un fattore di attrazione per i trafficanti.

Ora che i nodi sono venuti al pettine con il contrasto evidente all'interno del governo e la magistratura ha scoperto la punta dell'iceberg delle collusioni fra Ong e scafisti aumentano sempre più i dubbi sul ruolo della Guardia costiera sottoposta ad ordini politici ben precisi.

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