L'assurda odissea di Castellucci in carcere

Il giorno dopo la sentenza che gli infliggeva sei anni di carcere, Castellucci si è presentato al carcere di Bollate. Sei giorni dopo, lo hanno spostato nel carcere romano di Rebibbia; poi con un volo militare, in manette, lo hanno riportato a Opera

L'assurda odissea di Castellucci in carcere
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"Schifo", "Vergogna", "Esci, ti aspettiamo": così l'11 gennaio 2019 nell'aula del tribunale di Avellino la folla aveva reagito alla sentenza con cui il giudice Luigi Buono aveva assolto i vertici di Autostrade per l'Italia accusati per la tragedia di sei anni prima, un autobus che sfonda il guardrail sul viadotto Acqualonga dell'autostrada Napoli-Bari e precipita nel vuoto. Una strage - quaranta morti - intorno alla quale si è sviluppata la lunga vicenda giudiziaria che ora ha la sua parola fine. La Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui in aprile ha ribaltato le assoluzioni decise ad Avellino, spedendo in carcere l'amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci, e un gruppo di dirigenti. Per la prima volta, il numero uno di una grande azienda viene condannato e finisce in cella per un crimine avvenuto al termine di una lunga catena di comando.

Il giorno dopo la sentenza che gli infliggeva sei anni di carcere, Castellucci si è presentato al carcere di Bollate per espiare la condanna. Sei giorni dopo, lo hanno preso e lo hanno spostato nell'inferno che è il carcere romano di Rebibbia; poi ci hanno ripensato di nuovo, e con un volo militare, in manette, lo hanno riportato al Nord, a Opera. Lì, nella cella del supercarcere, a Castellucci sono state recapitate le motivazioni della sua condanna stese dalla Quarta sezione penale della Cassazione, scritte dal giudice Attilio Mari. Sentenza definitiva, nessun ricorso possibile. Castellucci aspetterà chiuso a Rebibbia l'esito dell'altro processo in corso contro di lui, quello per il crollo del ponte Morandi a Genova nell'agosto 2018: senza poter lavorare alla sua difesa, perché non ha un computer.

Al processo di Genova, le motivazioni della Cassazione sul viadotto Acqualonga dettano in qualche modo la linea: dicono che anche l'amministratore delegato risponde personalmente, anche se sotto di lui, a occuparsi della manutenzione, ci sono settecento persone. A Castellucci per la tragedia della Napoli-Bari la Cassazione contesta "il totale inadempimento in ordine a tutti i compiti derivanti dalla propria posizione". Sono affermazioni in parte sorprendenti, non solo perché contrastano con l'assoluzione in primo grado, e con la richiesta di assoluzione che in Cassazione aveva presentato anche la procura generale, ovvero la pubblica accusa. Ma anche perché la stessa Cassazione, nelle motivazioni, dà atto che fu lo stesso Castellucci, nella seduta del consiglio d'amministrazione di Autostrade del 18 dicembre 2008, a varare un piano straordinario di interventi sulle barriere autostradali, compreso il tratto su cui l'autobus con i freni fuori servizio, dopo una drammatica gimcana tra le auto, sfondò il parapetto e precipitò dall'altezza di ventitré metri. "La delibera comportava sia per l'oggetto che per l'ampiezza dell'impegno finanziario un'attività di evidente rilievo strategico per la società (...) la relativa delibera è stata adottata su impulso e proposta dell'amministratore delegato", si legge.

Ma paradossalmente avere varato quel piano diventa un elemento d'accusa contro Castellucci, colpevole di non avere controllato metro per metro quali barriere venivano sostituite, "ravvisandosi in capo all'amministratore delegato la piena gestione del rischio derivante dall'approvazione del piano". I soldi stanziati da Autostrade avrebbero permesso di cambiare anche i parapetti malconci, poi ceduti sotto l'urto del pullman impazzito. Ma il progettista incaricato dei lavori disse che non serviva.

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