La Corte dei conti smonta il bluff degli 80 euro

L'aumento delle tasse nascosto nelle clausole di salvaguardia rischia di annullare il provvedimento varato dal governo

Il bonus da 80 euro e il minitaglio dell'Irap (garantito dalla deducibilità del costo del lavoro), le superpubblicizzate misure della legge di Stabilità del governo Renzi, rischiano di rivelarsi un clamoroso bluff. È questo il verdetto della Corte dei Conti che ieri ha inviato al Parlamento la propria analisi contenuta in un dossier intitolato Le prospettive della finanza pubblica dopo la legge di Stabilità .

Il succo della questione è tutto racchiuso in tre righe di valutazioni. «Anche l'impulso del bonus può essere vanificato se considerato non come elemento aggiuntivo permanente del reddito, bensì come elemento compensativo di un aumento di pressione fiscale, posposto nel tempo, ma già annunciato». A che cosa si riferiscono i magistrati contabili? Alle famigerate «clausole di salvaguardia», cioè i programmati incrementi dell'Iva e delle accise nel 2016 nel caso in cui non si riesca a tagliare un analogo volume di spese. E l'impresa, nel prossimo mese di ottobre, non sarà facile perché stiamo parlando di importi di tutto rilievo: 16 miliardi l'anno prossimo e oltre 23 nel 2017. Analoghe considerazioni, aggiunge la Corte dei Conti, possono essere sviluppate per l'azzeramento dei contributi previdenziali per i nuovi assunti o per la riduzione della base imponibile Irap.

Insomma, al danno rischia di aggiungersi la beffa perché «l'effettiva realizzazione di risparmi consistenti appare un traguardo molto difficile». L'analisi dei giudici di Viale Mazzini non è politica, ma squisitamente tecnica. Dunque se guardiamo allo Stato come un corpo unico da preservare, i margini per intervenire sui costi sono limitati. Ad esempio, un taglio alle spese sanitarie (per quanto necessario) comporta una diminuzione dei servizi. Idem se si ritengono elevate le spese per il personale, bisogna individuare un determinato numero di esuberi. Sono decisioni politiche, ma se la politica sceglie la conservazione dello status quo , la risposta tecnica non può essere che una sola: aumenteranno le tasse.

La prima conseguenza di questa confusione è l'aumento dell'incertezza. La promessa di tagli dei servizi o aumento delle tasse destinate al loro finanziamento crea «un peggioramento delle aspettative di famiglie e imprese». D'altronde, che la manovra di Renzi e del ministro Padoan fosse abbastanza pasticciata lo aveva denunciato anche il Giornale : ora c'è la conferma nero su bianco delle affermazioni dei mesi scorsi. In primo luogo, la copertura delle spese appare alquanto aleatoria: la legge di Stabilità si finanzia per 5,9 miliardi con nuovo deficit peggiorando i saldi della finanza pubblica. Sono soldi che il governo ha pensato di «recuperare» dovendo pagare meno interessi sui titoli di Stato grazie alle manovre salva-euro della Bce di Mario Draghi. Ma, osservano i magistrati contabili, «le risorse così liberate non vanno destinate ad evitare o a rallentare il necessario processo di revisione della spesa».

Il Renzi spendaccione è anche un Renzi arruffone perché la sedicente riduzione della pressione fiscale si ottiene facendo ricorso «a gettito futuro non sempre garantito», come nel caso delle entrate derivanti dalla lotta all'evasione che sono stimate in 3,5 miliardi, un dato fantasmagorico a meno che il «Grande Fratello» fiscale non metta tutti sotto torchio.

Ecco dunque

svelato il fallimento ontologico del bonus degli 80 euro che vengono dati con una mano e tolti con l'altra attraverso l'aumento (anche futuro) delle imposte. Agganciare la ripresa, in questo modo, diventa una doppia fatica.

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