Il fantasma della «governabilità» aleggiava ieri nella lunga camera di consiglio nel palazzo della Consulta. Preferire il principio maggioritario che ha ispirato l'Italicum, oppure la «rappresentatività» di un sistema proporzionale, come avevano chiesto nell'udienza pubblica gli avvocati che rappresentavano i 5 tribunali ricorrenti (Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova) e sostenevano che questa viene prima dell'altra?
Per comporre le diverse posizioni, il verdetto ha conciliato formalmente i due valori, di fatto ha privilegiato la rappresentatività. E ha restituito la palla alla politica, che dovrà assumersi la responsabilità delle sue scelte. Ha pesato la mediazione dell'ex premier Giuliano Amato e del presidente Paolo Grossi, sensibili alle sollecitazioni del Quirinale, ed è stata scongiurata l'ipotesi più demolitoria dell'Italicum. Ha pesato il pensiero di Sergio Mattarella (ex giudice costituzionale), che risiede nell'altro palazzo del Colle e ha dettato le linee.
Il dispositivo di ieri non contiene un monito al Parlamento, perché assicuri l'«omogeneità» tra i sistemi elettorali delle due Camere, come vuole il capo dello Stato. Ma, secondo indiscrezioni, il relatore Nicolò Zanon (costituzionalista andato al Csm con il centrodestra e poi nominato alla Corte da Giorgio Napolitano) lo inserirà nella motivazione della sentenza. È attesa tra metà e fine febbraio e sarà certo molto corposa e articolata. Il monito certo non è vincolante per la politica, ma peserà.
Tra i 13 giudici si è molto discusso della necessità di esplicitare ciò che era implicito in qualsiasi sentenza su una legge elettorale, che non può mai mancare ad un Paese. E, sollecitati dal dibattito tra i politici sull'applicabilità o meno del verdetto, i giudici hanno scritto quella frase per spiegare che dopo i tagli di ballottaggi e pluricandidature il sistema Italicum rimane «immediatamente» utilizzabile. Era un'altra delle preoccupazioni di Mattarella, che ha in passato richiesto leggi elettorali sempre «pienamente operative, affinché non vi siano margini di incertezza». L'omogeneità e l'operatività oggi non ci sono, ma sono a portata di mano.
Perché i tagli sono minimi. E questo vuol dire che ha prevalso l'ala dei giudici più vicini a Matteo Renzi e al governo, ma trasversale, guidata dal costituzionalista dem Augusto Barbera, preoccupata di evitare una demolizione importante della legge. Sarebbe suonata come una clamorosa bocciatura, l'ennesima della Consulta, di un'importante riforma renziana.
E avrebbe allontanato l'orizzonte delle elezioni, richiedendo un intervento parlamentare alle radici della riforma o una nuova legge elettorale. Così, invece, la linea dura di alcuni giudici è stata battuta per correzioni soft e il premio di maggioranza si è salvato. Almeno in teoria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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