Con il «piano dei 1.000 giorni» il premier Matteo Renzi ha dichiarato di essere guarito dal virus dell' annuncite , cioè promettere riforme in tempi certi senza poi mantenere la parola. Il problema è che sono stati contagiati dal morbo due ministri-chiave dell'esecutivo: quello del Lavoro, Giuliano Poletti, e quello dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Ieri il primo ha ribadito che il governo conta di «chiudere l'iter per l'approvazione del Jobs Act entro fine anno», mentre il secondo ha addirittura adombrato la possibilità di un taglio del cuneo fiscale alle imprese con la spending review che sarà contenuta nella prossima legge di Stabilità.
Pie illusioni? L'unica certezza è che raggiungere gli obiettivi sarà difficilissimo. Se si considera il Jobs Act, appare immediatamente chiaro come il termine del 31 dicembre o «15 giorni prima», come si è augurato l'ex numero uno delle coop rosse, sia al momento un'espressione di ottimismo. Anche se si tratta di votare una delega al governo sulla riforma dello Statuto dei lavoratori, la sinistra del Pd non intende smuoversi dalle proprie convinzioni: di toccare l'articolo 18 proprio non se ne parla. E invece le componenti centriste della maggioranza (Ncd in primis) proprio quello vorrebbero cambiare definitivamente. Eliminandolo.
Ieri Poletti ha cercato di rasserenare gli animi sottolineando che «il modello americano (libertà di licenziamento dei dipendenti, ipotesi che piace a Confindustria; ndr ) non è la nostra posizione». Tuttavia tra riforme istituzionali e legge di Stabilità è probabile che le Camere «si spalleggino e si rimpallino l'approvazione», circostanza che il ministro vuole evitare. Anche perché l'ala sinistra della maggioranza (capeggiata dall'ex ministro Cesare Damiano) vuole solo modifiche leggere allo Statuto - su demansionamenti e controllo a distanza dei lavoratori - e nicchia persino sul contratto a tutele crescenti, che garantirebbe la licenziabilità dei dipendenti a tempo indeterminato nei primi tre anni dall'assunzione. Un minuetto che si trascina da mesi, mentre la Commissione Ue ha il fucile spianato in attesa della riforma del mercato del lavoro.
Poletti ieri era a Brescia con Renzi all'inaugurazione delle rubinetterie Bonomi e, alla pari del premier, ha defezionato al Workshop di Cernobbio adducendo come giustificazione un improvviso mal di schiena. E in quella sede ha aperto a una trattativa sul blocco degli stipendi degli statali, a partire dalle forze dell'ordine. Circostanza sulla quale si è espresso il ministro Padoan («Valuteremo all'interno della spending review ») che ha rincarato la dose. «Non è detto che nella legge di Stabilità non si tagli il cuneo alle imprese», ha aggiunto. La spending review , secondo Renzi, dovrebbe determinare un risparmio di 20 miliardi circa. Peccato che la cifra sia già impegnata tra bonus da 80 euro (10 miliardi) e correzione del deficit. I rinnovi contrattuali della Pa costano almeno 5 miliardi, mentre ulteriori tagli del cuneo che non siano il bonus prevedono una spesa uguale o maggiore.
Sulle privatizzazioni il governo si sta muovendo con i piedi di piombo (dell'ingresso in Borsa di Poste e Fs se ne riparlerà l'anno prossimo), idem per la cessione di altri asset pubblici. I casi, quindi, sono due: o si realizzeranno tagli superiori alle stime o, per mantenere la promessa, arriveranno nuove tasse.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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