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L'avvoltoio deve smettere di averla vinta

Smettiamola di comportarci come avvoltoi di seconda mano che si nutrono degli avanzi dell'avvoltoio capo. L'informazione non è una discarica

L'avvoltoio deve smettere di averla vinta
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L'avvoltoio deve smetterla di averla vinta. In natura svolge una funzione persino utile: ripulisce l'ambiente dalle carogne. Nelle vicende umane, talvolta, accade il contrario: la carogna è l'avvoltoio stesso. Vive di ciò che è già ferito e si nutre del sospetto come fosse carne fresca. Nel caso che riguarda Alfonso Signorini, l'avvoltoio non è solo chi attacca. È anche il coro che gracchia intorno. La decisione di Signorini di togliersi dai social e poi di autosospendersi da Mediaset non nasce da un'ammissione di colpa, ma dal rifiuto di partecipare a questo banchetto. È un gesto raro in un tempo in cui l'istinto prevalente è restare in scena a ogni costo. Qui accade il contrario: ci si sottrae al frastuono. Non sorprende che tutto parta da Fabrizio Corona. Da anni fa professione di rivelatore dell'intimità altrui, vive di allusioni, di fango, di sospetti lanciati come esche: qualcosa resta sempre attaccato, anche quando è falso. Il suo format si chiama non a caso Falsissimo: una bandiera piratesca che pretende di giustificare qualsiasi assalto, anche lo sbudellamento simbolico di innocenti pur di trascinare tutti nel proprio letamaio. Ma il problema non è solo Corona. È l'oscena eco mediatica che lo accompagna, spesso compiaciuta, talvolta pigra, quasi sempre irresponsabile. Invece di verificare, si rilancia. Invece di distinguere, si amplifica. La reputazione altrui diventa un bene usa-e-getta.

Conosco Corona da tempo. Quando anni fa fu sbattuto in galera con una severità che giudicai inusitata, lo difesi. Non sopporto le bastonature pubbliche, nemmeno quando il bersaglio è antipatico. Ma proprio per questo oggi non posso tacere: Corona ha scelto di diventare il personaggio che gli altri dipingevano. E ora colpisce senza riguardo, confidando che qualcosa resti sempre attaccato alle vittime.

Nel caso specifico, il dato di fatto è uno solo: l'unico indagato è Corona. Non Signorini. Non Mediaset. Non il Grande Fratello. Eppure la scena si è rovesciata. L'accusatore diventa giudice, il sospetto sentenza. Le lamentele di aspiranti concorrenti respinti diventano "sistema". Delusi pronti a vendicarsi mediaticamente pur di ottenere, a posteriori, la visibilità mancata. Un copione vecchio, ma efficace. Signorini, in tutto questo, ha fatto una cosa semplice e oggi quasi rivoluzionaria: si è fermato. Difenderlo non significa difendere un programma tv. Significa difendere un principio elementare: non si può essere in balia di chi usa la notorietà come un randello, contando sul fatto che il sospetto faccia più rumore della smentita.

C'è poi una responsabilità che riguarda noi, i colleghi. Smettiamola di comportarci come avvoltoi di seconda mano che si nutrono degli avanzi dell'avvoltoio capo. L'informazione non è una discarica. E il giornalismo, se vuole ancora chiamarsi tale, deve saper dire di no. Difendere Signorini oggi non è un atto di amicizia o di corporazione. È un atto di igiene civile.

Perché se passa l'idea che basta un video, una voce, un sospetto per costringere qualcuno a farsi da parte, allora nessuno è al sicuro. E a quel punto resteranno solo due possibilità: il fango o il silenzio. Io continuo a preferire il silenzio dignitoso di chi non accetta di essere trascinato nel fango.

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