La Turchia continua a essere prepotentemente protagonista nel conflitto che infiamma il Medio Oriente. Mentre i carri armati di Ankara attraversavano il confine per entrare in Siria e attaccare le forze del Califfato, nel Nord Est del Paese il leader del maggior partito d'opposizione turco (Chp), Kemal Kilicdaroglu, è sfuggito a un agguato. Il suo convoglio viaggiava nella zona di Artvin, poco lontano dalla frontiera con la Georgia, quando è stato preso di mira da uomini armati, non ancora identificati, che hanno riversato una pioggia di fuoco sui veicoli e ingaggiato battaglia con la sua scorta. «Non preoccupatevi per noi. Stiamo bene. Siamo in una zona sicura», ha rassicurato Kilicdaroglu, nel corso di una telefonata alla tv locale Ntv. Secondo la stampa turca, una guardia del corpo del segretario del Chp avrebbe freddato un «terrorista» che cercava colpire la sua auto con un lanciamissili portatile. Nessun membro dello staff del partito è rimasto ferito, ma tre soldati sono stati colpiti e uno di loro è morto. Non sono ancora arrivate rivendicazioni, ma il ministero dell'Interno turco ha già accusato i militanti curdi del Pkk, che ormai da più di un anno hanno ripreso le armi.
La situazione in Turchia diventa sempre più ingarbugliata. Ai problemi interni, come il fallito golpe e le epurazioni, gli attentati terroristici, sia dell'Isis sia dei curdi, ora si è aggiunto anche l'impegno diretto delle forze armate nel conflitto siriano. Aviazione, carri armati e artiglieria sono entrati pesantemente in azione contro il Califfato, che sta arretrando ormai colpito da più parti. Oltre agli attacchi turchi, infatti, le milizie dello Stato Islamico stanno subendo duri colpi dai guerriglieri curdi, appoggiati dagli Stati Uniti, e dalle forze russe. Molti si domanderanno come mai Erdogan abbia cambiato strategia e interrotto quel rapporto di connivenza con i terroristi dell'Isis. Il motivo è abbastanza semplice: contrastare l'avanzata curda e assicurarsi una poltrona in prima fila ai futuri negoziati di pace sulla Siria.
L'obiettivo di far cadere il regime filo iraniano di Assad è di fatto fallito, grazie all'intervento militare di Mosca, e così Ankara ora ha imboccato un'altra strada. Per Erdogan l'importante era esercitare la propria influenza regionale e far diventare la Turchia il Paese guida del mondo sunnita. Il cambio di strategia ha però provocato la vendetta dei jihadisti che hanno colpito più volte il suo territorio, spingendo così Ankara a intervenire militarmente, con il plauso dell'Occidente.
Ma oltre all'influenza regionale e a un posto da protagonista negli eventuali colloqui di pace, la Turchia punta a un obiettivo primario: contenere i curdi.
Le città e i villaggi siriani abbandonati dallo Stato Islamico, infatti, passano mano a mano sotto il controllo delle milizie curde, che potrebbero conquistare il nord della Siria e quindi la zona di frontiera con la Turchia. Una minaccia ritenuta insopportabile per il Paese. E non a caso ieri sera le artiglierie di Erdogan hanno bombardato alcuni reparti curdi nei pressi di Manbij.
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