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Lega contro le veline grilline E adesso trema anche Salvini

Giorgetti: «Ne hanno su tutti». Buffagni si tradisce su Tria: non c'entra l'intelligence 5s

Lega contro le veline grilline E adesso trema anche Salvini

Roma Da una parte c'è Giancarlo Giorgetti, plenipotenziario leghista a Palazzo Chigi, che rivela: «Quelli (ossia i Cinque Stelle, ndr) hanno dei dossier su tutti, anche su di noi». Dall'altra c'è Stefano Buffagni, omologo grillino di Giorgetti e già commercialista di casa alla Casaleggio e dintorni, che inavvertitamente rivela: «Certe brutte cose (i dossier contro il ministro Tria, ndr) non sono uscite dall'intelligence del Movimento». Confermando, dunque, che nel suo partito esiste una centrale operativa addetta alla raccolta di informazioni «sensibili», utili a fare pressioni su chi intralci le mosse grilline.

Può sembrare (ai più anziani) una sorta di riedizione delle oscure lotte di potere limacciose e para-eversive che si svolgevano silenziosamente dentro il Sid (servizi segreti) di Maletti e Miceli: trame, dossier, ricatti. Invece è il governo della Repubblica, baldanzosamente guidato - verso il default - dall'ineffabile premier Conte. Tanto che l'opposizione, con il Pd Ettore Rosato, chiede al premier di chiarire: «I Cinque Stelle sono finiti a schedare e intimorire le persone a colpi di dossier? Lo ha denunciato Tria, lo racconta Giorgetti, e Buffagni parla apertamente di intelligence del Movimento. È il caso che Conte smentisca al più presto».

Il clima è mefitico. E nella Lega c'è forte disagio per i metodi degli alleati: se sono state raccolte e utilizzate le informazioni sulla vita privata di Tria, è assai probabile che venga fatto altrettanto per colleghi di governo ancor più influenti e ingombranti. E questo crea notevole nervosismo: che dossier girano, e che uso se ne farà? Tanto che c'è chi spiega che quello di Giorgetti («Quelli hanno dossier anche su di noi») è un avvertimento lanciato anche a nome e per conto di Matteo Salvini.

L'operazione condotta contro il ministro dell'Economia Tria, con la alacre collaborazione di alcuni giornali che fiancheggiano l'esecutivo, è - forse - la vetta più alta raggiunta finora dal «governo parallelo». Velenosi dossierini, passati a giornali compiacenti: sulla consigliera Claudia Bugno, rea di intralciare operazioni care ai Cinque Stelle; poi sul figliastro, reo di collaborare con l'azienda del marito di Bugno; infine sul figlio, colpevole di essere stato a bordo della Mediterranea, la barca a vela che supportava la Mare Jonio, nave umanitaria che lo scorso 19 marzo è approdata a Lampedusa con 48 migranti soccorsi. Il tutto per tenere sotto pressione un ministro che si stava riposizionando su linee giudicate pericolose: la resistenza di Tria sul provvedimento per rimborsare gli azionisti della banche fallite (talmente illegittimo da prevedere uno «scudo» anti-ricorsi per i funzionari chiamati ad applicarlo), le sue dichiarazioni sull'Italia in recessione troppo vicine alla realtà per essere ammesse, tanto che lo stesso Conte ha cercato di smentirle dicendo che Tria «non parlava a nome del governo». Le reiterate richieste di dimissioni del ministro da parte di esponenti grillini sono però cadute nel vuoto. Di Maio ha dovuto fare marcia indietro: «Sono tutti miti e leggende. Lasciamo in pace Tria, lasciamolo lavorare». Conte spedisce Casalino a giurare che «non c'è stata alcuna telefonata tra il premier e Di Maio» per cercare di impallinare il ministro. E Salvini lo blinda, prendendone le difese persino sul caso del figlio che aiuta le Ong nel Mediterraneo: «Se le colpe dei padri non ricadono sui figli, le colpe dei figli non devono ricadere sui padri. Ognuno passa il suo tempo come vuole.

Se mio figlio andasse in giro per barconi lo riporterei a casa per le orecchie, però ogni padre fa quello che vuole», dice.

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