Legge elettorale, riecco il suk. Ma si parte dal Tedeschellum

Partiti in ordine sparso: Fi ottimista, la Lega vuole il maggioritario, i 5 Stelle fanno melina e il Pd si divide

Legge elettorale, riecco il suk. Ma si parte dal Tedeschellum

Aprite gli ombrelli, chiudete le orecchie. Riapre il Gran Casinò della legge elettorale, piove la sarabanda delle lingue biforcute, delle puntate d'azzardo, dei bluff spudorati. Dice il proto-Dc Pino Pisicchio che «il Parlamento non può subire l'umiliazione di rinunciare ad approvare una legge elettorale», e Pisicchio è uomo d'onore. Ma fatto è che non tutti lo sono, da quelle parti. Al punto che i senatori Romani e Gasparri mettono in guardia da «astruserie, escamotage, artifizi regolamentari, trucchi, trucchetti o addirittura decreti legge» che verrebbero «decisamente» respinti al mittente.

Latitano perciò certezze come non mai, al piano della commissione Affari costituzionali della Camera che si riunisce di buon mattino. Il succo dei lavori è che tutti o quasi si dichiarano pronti a ripartire dal «tedesco», dove s'erano arenati a giugno; che oggi la discussione continua per porre basi e tempi di un testo-base che la capigruppo del prossimo 13 settembre valuterà per procedere alla calendarizzazione. A fine settembre, come sperano gli ottimisti, o dopo le regionali siciliane del 5 novembre, come immaginano i realisti. Persino dopo l'approvazione della manovra, come vorrebbero gli sfascisti. Ora di queste tre tipologie converrebbe parlare, in quanto è chiaramente un tressette col morto. Qualche punto fisso si può dedurre dalle posizioni in campo. Forza Italia trascina il gruppo degli ottimisti: puntando sul tedesco, ha riscosso l'apprezzamento unanime pure di chi a giugno faceva il bastian contrario (leggi Ap e, in parte, la sinistra). Il fronte dei «realisti» è più vario e frastagliato. Ne fa parte la Lega, che ieri con Salvini (e Giorgetti in commissione) ha ribadito la preferenza per il Mattarellum («un maggioritario lo votiamo domattina», ha chiarito Salvini appellandosi a Forza Italia). Poi ci sono i grillini, che diffidano di tutto e tutti, al punto da chiedere che prima il Senato approvi l'abolizione dei vitalizi, «così capiamo se il Pd riesce davvero a gestire i franchi tiratori che fecero naufragare l'accordo a giugno», ha detto Toninelli, tosto rimproverato coram populo. «Condizioni assurde», le ha definite Sisto (Fi), mentre gli altri spiegavano che i deputati non possono imporre alcunché ai senatori.

Eccoci alla posizione del Pd, uno e trino. Ottimista con Lauricella, che ha proposto il premio di coalizione e non di lista, venendo subito rimbeccato dal compagno-relatore Fiano: «Parla a titolo personale». «Non è così - ha replicato l'altro -, parlo a nome dell'area Orlando e di tanti altri che vogliono davvero la legge elettorale». Sul «realismo» di Fiano è sembrato calare perciò il drappo mortuario di chi al Nazareno ha già chiesto di parlare di legge elettorale dopo la manovra, come il presidente pd Orfini. «Significa non farla» è stato il concorde giudizio degli ottimisti.

Che dietro l'angolo vedono aleggiare i desiderata del segretario Renzi: non fare nulla (quasi un dispetto per com'è andata col referendum) e affidarsi a codicilli regolamentari o al decreto legge del governo Gentiloni. Umiliazione al Parlamento da giocarsi in campagna elettorale; «sfascista» fino alla fine, al muoia Sansone con tutti i filistei.

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