Roma - La finanza islamica cresce a livello mondiale con tassi pari al 15-20% annuo ed ha raggiunto nel 2014 un valore complessivo di 1.900 miliardi di dollari. Coniugare gli interessi della finanza con i principi della Sharia non è facile ma si può. Lo diceva già la Consob nel 2014: «La finanza islamica non è incompatibile con la disciplina italiana dei mercati in quanto poggia su un insieme di regole oggettive che prescindono dalla connotazione etica o religiosa».
Ieri se n'è parlato nella sede dello studio legale Nctm di Roma durante il convegno «Dalle parole ai fatti. Una roadmap per un concreto sviluppo dell'industria finanziaria islamica nel nostro Paese». «Risolvere il problema della finanza islamica e pensare in un momento come questo alla nascita di una banca islamica non è facile, ma non possiamo non occuparcene», ci dice il vicepresidente della commissione Finanze del Senato, Franco Carraro. «Il mondo musulmano prosegue - è un investitore importante che ha già realizzato investimenti significativi nel nostro paese e può realizzarne altri. Esaminare la questione, verificare le soluzioni possibili anche da parte del Parlamento mi pare doveroso». Un'analisi che va fatta, sempre secondo Carraro, con un occhio ai grandi capitali di paesi musulmani, che hanno già iniziato a investire nel nostro paese, e un altro al fenomeno sociale rappresentato dai musulmani presenti sul nostro territorio, pur non essendo questi grandi investitori. La Commissione Finanze della Camera ha incaricato un gruppo di tecnici di occuparsi della questione fiscale. Coordinatore del pool è Stefano Loconte, avvocato e docente di diritto tributario, che spiega: «L'obiettivo del gruppo è redigere un ddl che abbia come scopo quello di armonizzare la fiscalità italiana agli strumenti di finanza islamica per evitare episodi di doppia imposizione fiscale». La Sharia (la legge coranica, ndr) vieta di prestare denaro contro interesse, ricorda Loconte, «laddove da noi vige il principio che il denaro genera automaticamente interesse: questo non significa che operazioni commerciali debbano essere vietate ma tutto viene costruito come fenomeno di condivisione di rischi». Non c'è una remunerazione del capitale, insomma, ma «tutto diventa investimento di rischio».
Lo Studio Nctm per rendere l'Italia un Paese Islamic finance friendly propone - oltre alle modifiche fiscali cui stanno lavorando i tecnici incaricati dal Parlamento - anche l'emissione benchmark (da 200 a 400 milioni di euro oppure dollari) di un sukuk sovrano, cioè di un titolo di Stato conforme alla Sharia che genera flussi
finanziari in relazione alla proprietà di un attivo. Nctm suggerisce poi di seguire l'esempio britannico e tedesco costituendo, anche attraverso la trasformazione di un istituto già esistente, la prima banca islamica italiana.
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