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L'elefante del Bronx lotta per i "diritti umani". Per tutti gli altri animali

Vive dal '77 allo zoo. La Corte suprema deve scegliere sulla sua libertà: come una persona

L'elefante del Bronx lotta per i "diritti umani". Per tutti gli altri animali

Il suo nome dice poco o nulla ai più. Ma presto Happy potrebbe diventare più famoso di Dumbo. La sua storia potrebbe, infatti, contribuire a cambiare per sempre il destino di milioni di animali in tutto il mondo. Perché a questo elefante attualmente rinchiuso in uno zoo del Bronx, la Corte suprema di New York potrebbe riconoscere lo status di «persona», con tutto il relativo bagaglio di «diritti umani». Il primo fra i quali è quello di essere immediatamente liberato dal recinto nel quale è rinchiuso per essere trasferito in una riserva protetta. La battaglia legale è cominciata mesi fa, grazie all'iniziativa dell'associazione animalista Nonhuman rights project. Il primo round, davanti al giudice del tribunale di New York, si è concluso lo scorso febbraio con un secco «no». Nonostante la richiesta fosse stata supportata da una petizione online che denunciava lo stato di «imprigionamento illegale» del pachiderma dal 1977 e che aveva raccolto oltre 1,3 milioni di firme.

I promotori hanno però deciso di andare avanti, presentano appello alla Corte suprema. Che adesso è chiamata a decidere in via definitiva. Se all'elefante dovessero essere riconosciuti i diritti umani si aprirebbe un precedente storico, che potrebbe coinvolgere moltissimi altri animali, ospiti di zoo, circhi o altre strutture in tutto il mondo. Insomma, Happy potrebbe fare da apripista grazie alla sua particolarissima personalità. L'elefante asiatico, che da poco ha compiuto 49 anni, è descritto come particolarmente empatico e intelligente. Secondo i suoi «difensori», è in grado di prendere decisioni e di fare scelte sulla sua vita, proprio come un essere umano. Dimostrando così capacità cognitive fuori dalla norma. Nonostante le sue doti, Happy vive però ancora confinato in un recinto grande solo 0,40 ettari, senza poter avere alcun contatto con altri membri della sua specie. Il pachiderma è completamente solo dal 2006, quando la sua compagna Grumpy ha perso la vita. E così oggi le sue giornate scorrono lente e solitarie. A fargli compagnia ci sono solo gli sguardi dei visitatori curiosi, ai quali è concesso un solo minuto di tempo, prima di proseguire verso la zona riservata ai rinoceronti. La storia di Happy non è però passata inosservata. Catturando l'attenzione di un avvocato, Steven Wise. È stato lui ad avere l'intuizione di presentare un atto di «habeas corpus» (la legge medievale inglese che attribuisce a chiunque si creda illegalmente imprigionato la possibilità di difendere la propria libertà) al direttore dello zoo. Il suo diniego ha spinto il legale ad andare avanti, coinvolgendo prima il tribunale ordinario e poi addirittura la Corte suprema. Alla quale oggi chiede il riconoscimento dei diritti umani.

Da parte sua, lo zoo si difende sostenendo che da secoli gli animali, anche i più intelligenti, sono considerati semplici oggetti, privi di propri diritti. E giura che nel suo piccolo recinto Happy sia comunque felice e ben curato. Accusando l'organizzazione animalista di usare l'elefante per portare avanti politiche ideologiche e radicali. Contro Happy si sono schierati anche gli allevatori e gli agricoltori americani, spaventati dall'idea che una sentenza favorevole al pachiderma possa aprire la strada al rilascio di qualunque animale, anche quelli destinati all'alimentazione o alla vita in fattoria. Insomma, la storia di un elefante sfortunato si è trasformata in una battaglia legale complicata. Perché il passaggio di status da «oggetto» a «persona giuridica» potrebbe davvero cambiare per sempre il destino degli animali, e il loro rapporto con l'uomo. Nel frattempo Wise non ha dubbi: «Noi ci limitiamo a seguire la scienza. Ogni giorno nuove ricerche dimostrano l'intelligenza e le abilità di molte specie».

Che, proprio per questo, potrebbero meritare di diventare «persone».

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