Mosca - Se di qualcosa dobbiamo stupirci non è la rappresaglia di Mosca, ma il ritardo con cui è arrivata. Gli 81 missili caduti, la scorsa notte, su Kiev, Kharkiv e altre città ucraine arrivano a bersaglio ben una settimana dopo l'incursione nella regione di Bryansk rivendicata da una formazione di oppositori russi. Il lasso di tempo trascorso tra un attacco dal carattere estremamente provocatorio e la reazione di Mosca segnala una volta di più la lentezza pachidermica con cui l'apparato militare del Cremlino reagisce alle spregiudicate mosse di un'intelligence ucraina capace di colpire la Russia fin dentro i suo confini. Da questo punto di vista l'operazione di Bryansk - realizzata addestrando e manovrando un nucleo di fuoriusciti dell'estrema destra russa inseriti nei ranghi della Difesa Territoriale di Kiev e del Battaglione Azov - ha rappresentato un vero e proprio colpo basso. Un colpo che oltre a ferire l'orgoglio di Mosca ha sollevato ulteriori dubbi sulla sua capacità di difendere i propri territori. Non a caso subito dopo quell'incursione il presidente Vladimir Putin aveva annunciato l'immediata convocazione del Consiglio di Sicurezza indirizzando un'implicita critica ai capi di un'intelligence russa evidentemente incapace di prevenire le mosse nemiche.
In un quadro reso politicamente ancor più acceso dalle critiche rimbalzate sui canali Telegram c'era da attendersi una reazione capace di soddisfare nel giro di poche ore il desiderio di rivalsa dell'opinione pubblica interna. Un'opinione pubblica sempre più avvelenata nei confronti di Kiev e sempre più decisa nel sostenere l'impegno militare. La settimana intercorsa tra lo smacco di Bryansk e la salva di missili piovuta ieri notte sulle città ucraine è invece un altro segnale dell'impacciata lentezza con cui Mosca reagisce al disinvolto dinamismo bellico di Kiev. E questo non può certo venir spiegato con la reiterata, quanto infondata, tesi cara ai media occidentali secondo cui Mosca starebbe esaurendo le proprie testate. Nonostante quell'ipotesi circoli dallo scorso maggio gli attacchi missilistici messi a segno da Mosca negli ultimi dieci mesi non sono diminuiti, ma aumentati d'intensità. Anzi a partire dallo scorso ottobre - quando è iniziata la progressiva distruzione delle centrali elettriche - sono diventati un elemento centrale della strategia russa. Quindi il problema non è tanto la mancanza di testate, ma piuttosto la lentezza nel decidere il loro utilizzo e la scelta degli obbiettivi su cui indirizzarli. Ragionamenti che possono sembrare cinici in quanto non tengono conto delle vittime civili causate dagli attacchi missilistici. Ma come dimostrano gli attacchi a colpi di Himars, abbattutisi ultimamente sulle abitazioni civili di Donetsk e di altre città controllate dai russi, cinismo, orrore e crudeltà sono purtroppo parte integrante e ineludibile della tragedia bellica.
Assai più inspiegabile è, invece, la fiacca capacità reattiva della macchina militare del Cremlino. Un'incapacità attribuita da molti alla decisione di restituire il comando delle operazioni militari al Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov ridimensionando quel generale Sergey Surovikin che - dallo scorso ottobre fino ai primi di gennaio - aveva rivisto la strategia russa utilizzando le incursioni missilistiche per paralizzare la logistica e le comunicazioni ucraine. Una strategia sicuramente spietata, ma capace, finché Surovikin gestiva le operazioni, di colpire con frequenza quotidiana gli obbiettivi nemici. Il ritorno al comando di Gerasimov sembra, invece, riportare d'attualità quelle criticità e quelle indolenze operative che avevano caratterizzato i primi dieci mesi d'intervento russo.
Un ritorno al passato confermato anche dalle uscite di Euvgeny Prigozhin, il capo dei mercenari della Wagner sempre pronto ad accusare Gerasimov di lesinargli i colpi d'artiglieria indispensabili per chiudere l'assedio di Bakhmut. Un ritorno al passato che rischia di rivelarsi devastante se carri armati e nuove forniture Nato consentiranno a Kiev di lanciare la tanto annunciata offensiva primaverile.
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