Ogni volta che leggo una statistica mi viene in mente la storia del pollo: in astratto, dieci persone ne mangiano uno a testa, in realtà c'è chi ne mangia nove, e gli altri si dividono il resto. Le ricerche statistiche sulle vacanze, poi, sono stagionali come certe verdure, e in estate fanno persino irritare chi non ci va.
Nonostante la premessa acida, però, le ricerche statistiche danno sempre indicazioni preziose per l'andamento di un fenomeno. I dati emersi dall'elaborazione dell'Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza sono convincenti, nel senso che rispecchiano le nostre esperienze, ovvero: rispetto agli anni Settanta vanno in vacanza più italiani, ma ci restiamo meno.
Nonostante la crisi, oggi le fa un italiano su due, negli anni Settanta era uno su tre. È vero che nel 1971 la durata media era di 19 giorni, e oggi di 11, ma credo che nessuno rimpianga quelle ferie interminabili - quasi un lavoro - che ti inchiodavano in un posto (il solito posto) fino alla sfinimento.
In agosto i servizi dei telegiornali iniziavano, immancabilmente, con «Le città si spopolano», poi sostituito da un più suggestivo «Il grande esodo». E giù servizi con l'anziano superstite che si abbeverava alla fontanella, mentre sulle autostrade lunghissime code di auto - come scatole di sardine passate al forno - sembravano suggerire quelle che sarebbero diventate le «vacanze intelligenti».
Eccole qui, le vacanze intelligenti, le abbiamo agguantate.
Per prima cosa non si sprecano tre settimane in un colpo solo. In genere se ne fanno un paio, possibilmente fuori stagione e lontano. Tanto i voli a basso costo impazzano, e i posti dove la vita è meno cara che da noi, ormai sono quasi tutti. Si tiene il resto delle ferie per ponti acrobatici, per mordere il parente e poi fuggire, per godersela - delizia - stravaccati in casa.
Guardando più lontano, in un secolo tutto è cambiato. All'inizio del Novecento partivano solo i ricchi, in genere arroccati nella tenuta avita. Il popolo fece il suo ingresso trionfale nella «villeggiatura» soltanto negli anni Sessanta, e non per merito dell'articolo 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Se fossero obbligatorie per legge, gli italiani non ci andrebbero, in vacanza. Fu merito del boom economico, ma una settimana - sulle montagne o al mare più vicino o al paesello natio - bastava.
L'Italia era la prima meta mondiale degli stranieri, a quei tempi in questo senso felici. Il maschio medio aspettava al varco «la svedese» e «la tedesca», vantando poi carnieri da mentitore professionale. Oggi il solito maschio medio emigra, in cerca di avventure, come i cacciatori di selvaggina.
La vacanza lunga diventò di massa negli anni Ottanta, ci andava quasi metà della popolazione. Il boom lo fecero le agenzie di viaggio e i villaggi turistici, un modo per sentirsi a casa anche stando lontani. Negli anni Novanta, invece, grazie a Internet e ai low cost , inizia il periodo delle vacanze esotiche, delle spiagge da sogno, della «vita senza frontiere».
Ai nostri tempi, rispetto a trent'anni fa, il modo di scegliere una vacanza è cambiato come cambia fare la spesa in un supermercato o nel negozietto sottocasa.
Il viaggio te lo confezioni su misura, negli igloo o nelle capanne, libero o programmato al secondo, con 50 sfumature di cultura o in piscine a forma di cuore. Naturalmente, sempre tenendo presente il discorso del pollo: a chi tocca la coscia, a chi il petto, a chi niente, a chi il boccone del prete.Twitter: @GBGuerri
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