Fino a sei mesi fa eravamo il popolo più antieuropeista d'Europa, ora siamo tra i più europeisti. Settimana dopo settimana aumenta costantemente il numero degli italiani favorevoli tanto all'Unione quanto all'euro. Cosa ci è successo? Semplice: abbiamo visto i gialloverdi cimentarsi con la prova del governo, ne abbiamo toccato con mano il velleitarismo e abbiamo concluso che, se questa è l'alternativa, tutto sommato si stava meglio quando si stava peggio.
L'Europa va cambiata, ma è ormai chiaro che senza credibilità politica e un progetto per lo sviluppo ogni sforzo risulterà vano. Si ufficializza così il fallimento del governo grillinleghista. Il collante che teneva uniti due partiti naturalmente inclini a tirare in direzioni opposte, l'estrema destra leghista e l'estrema sinistra pentastellata, era infatti la retorica sovranista e la conseguente offensiva anti europea. Riscriveremo le regole di Maastricht, dicevano Salvini e Di Maio in campagna elettorale e ripetevano fino a poche settimane fa. Entrambi hanno proclamato l'intenzione di superare il 3% di deficit, entrambi hanno con metodo sbertucciato la Commissione e con superficialità sottovalutato i mercati. L'impennata dello spread e l'annunciato aumento del costo del denaro per mutui e prestiti sono la logica conseguenza delle loro parole. Parole evidentemente a vanvera. Lo testimonia il fatto che, caso unico nella storia repubblicana, la Camera ha votato con tanto di fiducia una manovra economica che sarà radicalmente cambiata in Senato e che finirà per sottostare ben più di quanto promesso ai diktat di Bruxelles.
Dicono gli inglesi che la prova del budino è mangiarlo. Fatto. L'antieuropeismo era l'elemento che avrebbe dovuto legare gli ingredienti grillini con quelli leghisti. Il budino non è riuscito, gli elementi non si sono amalgamati: naturale, a questo punto, che ciascuno torni a gustarsi gli ingredienti che gli sono propri. Si spiega così l'operazione verità del leghista Giorgetti circa il reddito di cittadinanza caro a Giggino Di Maio. E siamo solo all'inizio.
Come termometri che ne misurano la febbre, esistono indicatori politici che da sempre denunciano il grado di affanno delle maggioranze e degli esecutivi: il ricorso alla piazza e le verifiche di governo. La Lega ha già mobilitato la sua piazza, Salvini ha già annunciato che il «contratto di governo» andrà rinegoziato e nel farlo ha implicitamente ammesso il fallimento.Andrea Cangini
*senatore di Forza Italia
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