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L'estrema difesa dei minorenni in manette: "Noi, cagnolini al guinzaglio del più grande"

Il branco si è sfaldato, inizia lo scaricabarile. I più giovani accusano Butungu Lui non sembra preoccuparsi: "Non mi pento di niente, sono un evangelico"

L'estrema difesa dei minorenni in manette: "Noi, cagnolini al guinzaglio del più grande"

nostro inviato a Rimini

Minimizzano. O scaricano sugli altri la responsabilità di quel che è successo. La banda dei violentatori di Rimini non esiste più. Si è dissolta in un balbettio di scuse, distinguo, spiegazioni improbabili. E, naturalmente, nel solito scaricabarile. Guerlin Butungu, l'unico maggiorenne e anche l'ultimo ad esser catturato ieri mattina, tiene una linea, come dire, minimalista: «Abbiamo fatto baldoria, è vero, ma non c'e' niente di cui debba pentirmi. Io sono un evangelico».

I fratelli marocchini, invece, scelgono un altro copione: «Eravamo cagnolini al guinzaglio del più grande». Che poi è proprio Butungu. E buttano la croce addosso a lui: «Noi tenevamo ferma la trans, ma era lui a farle violenza».

Poi si correggono, ammettono un rapporto orale, ma insomma, provano a salvare il salvabile. E il padre, dalla casa di Vallefoglia in cui è ai domiciliari, in qualche modo cerca di proteggerli. «È giusto che paghino, se sono stati loro, per quello che hanno fatto», dice al Giornale. Ma poi, conversando con il Resto del Carlino, aggiunge: «Credo che al mio minore il congolese gli abbia fatto un lavaggio del cervello». E ancora : «Il maggiore mi ha detto che il congolese picchiava la ragazza polacca, le tirava gli schiaffi; lui ha provato a bloccarlo: Lasciala». Invano.

Spiegazioni che fanno acqua. La peruviana ha ricostruito con straordinaria freddezza quei momenti terribili e ha descritto con precisione i suoi aguzzini. Per esempio due ragazzi, «uguali come due gocce d'acqua». Proprio seguendo le sue preziose informazioni, gli investigatori avevano intuito che due dei quattro criminali fossero fratelli. Ancora lei inchioda tutti, in particolare il minore: voleva essere il primo a violentarla, ma alla fine dovette arrendersi alla volontà del congolese, il più vecchio e in qualche modo il leader del gruppo. Il fratello però fu costretto a intervenire in suo aiuto. Altro che «cagnolini al guinzaglio del più grande». O altre amenità.

Ora sono tutti in carcere, colpiti da un provvedimento di fermo che dovrà essere convalidato: dal gip per Butungu e dal gip del tribunale dei minori per il terzetto. La banda, dunque, si è sfaldata: i ragazzi parlano di «baldoria», chiamano in causa alcol e droga. Provano a nascondersi dietro una qualche giustificazione. Tentano di circoscrivere il disastro. Intanto, l'indagine corre: si cerca di capire se i quattro siano gli autori di un altro tentato stupro, avvenuto il 12 agosto e per fortuna fallito: siamo sempre a Miramare, dove poi il branco colpirà con furia spaventosa la notte fra il 25 e il 26 agosto. In quell'occasione, una coppia di Legnano viene derubata dei telefonini. Ora l'obiettivo è rintracciare i ricettatori. Gli investigatori sono ottimisti. Un po' di pazienza e si saprà se la gang era già entrata in azione. Ma i detective vogliono anche stabilire quando è nato il sodalizio fra i quattro.

Si ipotizza che siano stati i tre minorenni ad agganciare il maggiorenne, incontrato sulla strada: a Vallefoglia molti ricordano Butungu nell'atto di chiedere l'elemosina davanti a qualche supermercato. E si pensa che il quartetto, in formazione intercambiabile e fluida, abbia fatto palestra compiendo alcune piccole rapine.

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