Dall'Ariosto ai viaggi del futuro: la conquista che non finisce mai

Dall'Ariosto ai viaggi del futuro: la conquista che non finisce mai

Bentornato Astolfo, con il coraggio, la leggerezza e quel desiderio di sognare l'impossibile. Astolfo come simbolo di una via d'uscita, perché in questi tempi confusi e senza orizzonti, dove il sentimento più forte è la paura, c'è davvero bisogno di qualcuno capace di domare l'ippogrifo e andare a riprendere il senno perduto sulla luna.

Eccola la luna, sta ancora lì, battezzata con la bandiera americana da Neil Armstrong e Buzz Aldrin, con Michael Collins ad aspettare sull'Apollo 11. Era il 20 luglio 1969, alle venti, diciassette minuti e trentanove secondi sull'orologio del tempo universale. Fu un'avventura, una conquista, eppure quella notte un po' la luna si spense, come se il piccolo passo di un uomo, grande per l'umanità, l'avesse un po' sporcata, togliendole magia, poesia, fascino. Non era più la luna di Leopardi, la silenziosa luna del pastore errante, la luna di Saffo o la luna che scorre come una fanciulla attraverso una città di topazio di Emily Dickinson. Era una luna di roccia e metallo, fredda e desolata, non più divina, ma satellite. La luna come una donna sedotta e non più amata. Questo forse fu il vero peccato di Richard Nixon, più del Watergate: aver regalato la luna agli umani. «Per anni i politici hanno promesso la luna: io sono il primo in grado di darvela».

Sono passati quasi cinquant'anni da allora. Altri uomini ci hanno passeggiato ai bordi dei crateri. Il conto si è fermato con l'Apollo 17. Eugene Cernan è stato l'ultimo uomo a calpestare il suolo lunare: era il 14 dicembre 1972. Poi quel viaggio costoso ha perso interesse. Nessuno si emozionava più e così la luna è tornata lontana. Non più vergine. Non più da ammirare. Quasi ci si dimentica della sua luce e dei suoi quarti di romanticismo. Più di qualcuno sostiene che quell'allunaggio in realtà non c'è mai stato. Sarebbe una fiction di Hollywood. Ora qualcosa però di nuovo sta cambiando. I cinesi, dal 2007, ci stanno inviando rover robotici e sperano di farci tornare umani in carne e ossa per il 2036. Trump accetta la sfida e con la Space Policy Directive One invita la Nasa di rimettersi al lavoro. I russi pensano di tornarci per non andare più via e l'Europa sogna un Moon Village. Tutto questo mentre qui, penisola Italia, facciamo i conti con le tasse, l'illusione di una pensione, il mutuo da pagare e attenti a non farci fregare dalle banche.

È qui che appunto serve lo spirito di Astolfo, il più ariostesco dei paladini di Francia. Astolfo non è valoroso come i cugini Orlando e Rinaldo, non ha la sicumera di Gradasso, non è bello come Medoro, svelto come Angelica o forte come Rodomonte. Quando lo incontriamo nel poema di Boiardo (eh sì, L'Orlando Furioso è un sequel) è un ragazzino imbranato, una sorta di Paperino un po' sfigato. È Ariosto che lo rende eroico, in una sorta di metamorfosi in stile Disney, tipo Paperinik. Astolfo ha un talento che non tutti hanno: non è un mago ma è predisposto alla magia. Non è un caso che come Angelica, altra con X Factor, sia in grado di cavalcare l'Ippogrifo, che in genere risponde solo al suo proprietario, il mago Atlante.

Astolfo è l'umano che va oltre i propri limiti e non si fa ingannare dal successo. Quando si ritrova nel castello di Atlante, dove tutti i cavalieri sono attratti dai propri desideri e inseguiti dalle proprie ossessioni, comprende che tutto quello che ha intorno è solo illusione. È virtuale.

È un rumoroso social network che si può far svanire con un semplice click. Spento. Astolfo è l'antenato di Cyrano de Bergerac, altro viaggiatore lunare, e di tutti quelli che sono così umani da sfuggire all'apparenza e così folli da seguire l'imponderabile.

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