Letta porta a casa il seggio e allontana il voto anticipato
5 Ottobre 2021 - 06:00Il segretario già si prepara alla partita del Quirinale. Snobbato Conte: sarà lui il federatore della coalizione
Non parla solo da vincitore, Enrico Letta. Al tramonto di una «giornata straordinaria», il leader del Pd guarda oltre il successo nei comuni dove si è votato, e parla da premier in pectore.
E, ancor prima, da aspirante regista della partita più importante dei prossimi mesi: quella per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Con una mano subito tesa a colui che chiama «il federatore del centrodestra, senza il quale non possono vincere». Ossia Silvio Berlusconi.
Enrico Letta entra «con emozione, e non per controllare le truppe» in Parlamento, vincendo nel collegio di Siena. E può festeggiare «il grande successo del Pd e del centrosinistra» nelle città vinte al primo turno (Milano, Bologna, Napoli) e in quelle dove va in ballottaggio, come Torino e (con più fatica) Roma. Un successo, dice, che ha varie ragioni: «Abbiamo privilegiato l'unità, nel partito e nel centrosinistra, ma anche nel paese, con il quale siamo tornati in sintonia», dice con afflato ecumenico. Il leader del Pd dà subito una risposta a chi, nel suo stesso partito, teme che i risultati di oggi facciano crescere nel segretario la tentazione di forzare i tempi e andare al voto anticipato nel 2022, alla testa di una «coalizione allargata», come la definisce: «La vittoria del centrosinistra - scandisce Letta - rafforza l'Italia perché rafforza il governo Draghi». Un messaggio rivolto a chi, come la corrente di Base riformista (assai forte nei gruppi parlamentari) già metteva le mani avanti: «È una vittoria del Pd che è garanzia di realizzazione dell'agenda Draghi», diceva nel primo pomeriggio Alessandro Alfieri. Anche Andrea Orlando assicura che «il voto rafforza il governo». A conferma che il timore, nelle file dem, sta circolando e che le «truppe parlamentari», che dovranno votare per il Colle, vanno rassicurate e tenute buone.
Una cosa appare certa: dopo i risultati di ieri, Enrico Letta non ha più alcuna intenzione di cambiare la legge elettorale per tornare al proporzionale, come chiede parte del Pd: il vituperato Rosatellum di Renzi, con i suoi collegi che spingono alla coalizione, diventa il miglior strumento in mano a Letta per tenere dentro, e assoggettare, i Cinque Stelle, Renzi, Calenda e anche - chissà - pezzi di centrodestra in fuga dal sovranismo fallito nelle urne: «Abbiamo dimostrato che la destra è battibile, mentre fino a qualche mese fa la loro vittoria», sottolinea Letta.
Che annuncia anche un cambio di agenda: «Ora ci occuperemo di lavoro, giovani, salute, energia». Non più bandierine identitarie come il ddl Zan e il voto ai sedicenni, che servivano a fidelizzare il popolo di sinistra in campagna elettorale. Ora si fa sul serio, e si punta alla guida del governo. Da capo coalizione: non a caso, in tutti i suoi commenti di ieri, Letta non pronuncia mai il nome di Giuseppe Conte. Ormai destinato, dal tracollo elettorale, a fare da reggicoda al Pd. «Saremo la nuova Sel, stampella di Letta», ammette un parlamentare grillino.
Mentre il segretario democratico lancia segnali di amicizia a Calenda: «Le nostre strade dovranno convergere». Roma, del resto, è l'unica zona d'ombra del medagliere di ieri: Roberto Gualtieri fatica ad andare al ballottaggio, e la vittoria al secondo turno non è in discesa.
Anche perché nel Pd ammettono che è tutt'altro che scontato che il voto populista e destrorso della Raggi vada a lui.
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