
Ministra Eugenia Roccella, il suo interrogativo sull'utilità delle gite scolastiche ad Auschwitz, quel suo "a cosa sono servite", ha suscitato molte polemiche da parte del centrosinistra che arriva ad accusarla di negazionismo.
"È una vita che sono vicina al mondo ebraico, una vita che sono impegnata in questa battaglia contro pregiudizio e discriminazione, non dimenticate che vengo dai radicali, che hanno sempre avuto una posizione molto chiara. La politica purtroppo oggi ribalta e strumentalizza qualsiasi cosa. La verità è che li ho toccati su un nervo scoperto. Il tentativo è quello di rovesciare i fatti appigliandosi al nulla. È grottesco pensare che sarei andata lì a parlare davanti alla comunità ebraica, e sono stata applaudita, per fare del negazionismo! Sono stata invitata perché da sempre sono sensibile a quella causa e combatto l'odio e il pregiudizio antiebraico".
È pentita di aver definito i viaggi scolastici delle gite?
"Il mio ragionamento era chiaro e ci sono le registrazioni a dimostrarlo. Ho detto che se non si riconosce l'antisemitismo che si respira oggi e non lo si spiega ai ragazzi, si rischia di ridurre le visite ai campi di concentramento a semplici gite".
Lei ha puntato il dito contro una certa disattenzione da parte delle università italiane all'indomani del 7 ottobre.
"Io credo che sia necessario ricordare cosa accadde nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre. Non c'è stata una identificazione, una vera solidarietà, non c'è stata una grande manifestazione studentesca di vicinanza ai ragazzi del Nova Festival, ragazzi esattamente come quelli che vanno a fare le manifestazioni Pro Pal, e in quei giorni non c'era stato ancora lo scoppio della guerra, non c'era il dolore per le vittime civili, le uniche vittime erano quelle israeliane. Abbiamo ascoltato le cronache di brutali uccisioni, stupri, torture di giovani innocenti che ballavano e si divertivano, ma questo, ripeto, non ha portato a una identificazione. Il mio messaggio è chiaro: siamo di fronte a uno strisciante antisemitismo, non possiamo nasconderlo pensando di relegare questo fenomeno odioso al nazifascismo, cristallizzandolo nel passato. Dobbiamo avere il coraggio di guardare anche al presente e denunciare ciò che vediamo e ascoltiamo".
Lei quindi ritiene che i viaggi sui luoghi dell'Olocausto siano utili?
"Ma certo. Ho promosso io stessa due grandi mostre sull'Olocausto al Maxxi, mi batto da anni affinché la memoria sia difesa e tutelata da ogni revisionismo. I viaggi però sono utili se c'è la consapevolezza che l'antisemitismo è ancora presente nel sottofondo della nostra cultura. Ci dobbiamo fare i conti. In Germania i comuni appendono anche la bandiera di Israele, e c'è stata l'iniziativa di mettere le sedie vuote con i nomi degli ostaggi, qualcosa che da noi non è venuta in mente a nessuno. Evidentemente c'è una consapevolezza che da noi non c'è ancora. I viaggi ad Auschwitz devono servire a interpretare il presente e guardarsi dentro, non devono servire ad autoassolversi e a renderci tutti innocenti.
Il mio discorso di oggi era chiaro: dobbiamo fare davvero i conti con un antisemitismo che, come abbiamo visto in questi mesi, è ancora presente nella nostra società. Va combattuto. Da tutte le parti politiche senza timidezze e colpevoli omissioni".