Coronavirus

L'idea del certificato è vecchia di secoli come anche la lotta (dura) alle malattie

Per garantire l'immunità delle persone già la Serenissima rilasciava degli attestati senza i quali non si viaggiava. Per salvare salute e affari

L'idea del certificato è vecchia di secoli come anche la lotta (dura) alle malattie

App, tracciamenti e green pass. Abbastanza per scatenare la rabbia, in Italia e non solo, di molti che vedono in queste procedure un pericoloso attentato alla libertà. Tra le tante accuse che sia una sorta di neofascismo digitale che miri, in prima istanza, a irregimentare le persone piuttosto che a tutelarne la salute. Ma se guardiamo indietro nel tempo, mutatis mutandis, gli strumenti con cui si è cercato, e a volte si è riusciti, a tutelare la salute dei cittadini non sono cambiati così tanto. Prendiamo la quarantena la prima pratica ad essere stata duramente contestata. È la prima soluzione razionale che gli esseri umani sono riusciti a mettere in campo per fermare le malattie. Nel 1374 a Reggio Emilia Bernabò Visconti ordinò che le persone provenienti da luoghi sospetti di peste trascorressero 10 giorni fuori dalle mura cittadine. L'idea venne poi resa più stabile e organica dagli abitanti di Ragusa. Nel 1377, resisi conto che la peste arrivava in città attraverso le navi provenienti da Oriente decisero di tenere merci ed equipaggi, per 30 giorni in un luogo separato dalla popolazione. I giorni poi vennero portati a 40 dai funzionari della Serenissima. Fu così che nacque l'espressione che usiamo ancora oggi. Il metodo fece scuola e venne poi applicato sistematicamente dagli austriaci in tutto il loro Impero. Fu anche grazie a questa sorveglianza che a partire dal Settecento la peste cominciò a sparire.

E furono sempre i funzionari veneti, non deve stupire la Serenissima era al centro di una piccola globalizzazione commerciale con secoli d'anticipo, a emettere una documentazione che potremmo considerare precorritrice dei nostri green pass. I provvisores salutis venetianorum certificavano che chi partiva da un dominio veneziano fosse partito da una città «Sana & libera da ogni sospetto di mal contagioso» e che quindi «in cadaun luogo capiteranno li si potrà dare libera e sicura pratica». La citazione è tratta da un documento settecentesco ma ne esistono di più antichi ed emessi anche da autorità portuali di altre città o regni che seguirono l'esempio veneziano. Erano sostanzialmente un modo di prevenire il contagio, di trovare un equilibrio tra mercato e salute che garantisse tutti. Le spese sostenute da Venezia per mantenere il suo primo Lazzaretto (fondato nel 1468), a cui ne seguì un secondo, erano tali che la prudenza per impedire il contagio era considerata anche un buon investimento. E con questo potremmo considerare chiusa da secoli anche la discussione sul tema dell'ospedalizzazione. Che fu comunque piuttosto furioso anche allora: il Magistrato di Sanità di Venezia si scontrava spesso con le resistenze dei patrizi che temevano il suo intervento rallentasse troppo gli scambi. La risposta del Magistrato era già nel suo motto: «salus populi suprema lex esto».

La situazione non divenne più facile con l'arrivo dei vaccini compreso il primo, quello contro il vaiolo, che ha addirittura eradicato del tutto una delle malattie più letali della storia. Quando in Inghilterra a più riprese (1840, 1841 e 1853) si cercò di rendere obbligatorio il vaccino scoppiarono gravi tumulti e iniziò un dibattito sulla libertà personale di cui quello odierno è una versione decisamente più pacifica (anche se amplificata dai social). Però almeno nessuno tentò di far saltare in aria i luoghi di inoculazione contro il vaiolo come invece accadde a Boston durante l'epidemia del 1721 (l'inoculazione era considerata una invenzione pericolosa, mentre la polvere da sparo evidentemente no). Quindi sono cambiati gli strumenti, ma siamo difronte a un dilemma molto antico che poco ha a che fare con fascismi digitali e molto con la paura, comprensibile, e la necessità dei governi di trovare soluzioni che mai potranno piacere a tutti. Possiamo essere sicuri che chi è spaventato o frustrato non cambierà idea se qualche scienziato preso dall'ira gli dà del ratto. Anzi. Però non ci si può davvero aspettare, al netto degli errori, che un governo rinunci a procedure di controllo e contenimento della diffusione di una malattia che erano già ovvie (anche se costose e dolorose) per magistrati di sanità di sei secoli fa.

E il nazismo, vero, presunto o digitale non c'entra.

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